giovedì, novembre 30, 2006
Sive ergo Græci… III
Dall'allocuzione di Papa Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I: «Questa Divina Liturgia celebrata nella festa di sant'Andrea Apostolo, santo Patrono della Chiesa di Costantinopoli, ci porta indietro alla Chiesa primitiva, all'epoca degli Apostoli.
I Vangeli di Marco e di Matteo riferiscono su come Gesù chiamò i due fratelli, Simone, a cui Gesù attribuì il nome di Cefa o Pietro, e Andrea: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19; Mc 1,17). Il quarto Vangelo, inoltre, presenta Andrea come il primo chiamato, "ho protoklitos", come egli è conosciuto nella tradizione bizantina. È Andrea che porta da Gesù il proprio fratello Simone (cfr Gv 1, 40 ss).
Oggi, in questa Chiesa Patriarcale di san Giorgio, siamo in grado di sperimentare ancora una volta la comunione e la chiamata dei due fratelli, Simon Pietro e Andrea, nell'incontro fra il Successore di Pietro e il suo Fratello nel ministero episcopale, il capo di questa Chiesa, fondata secondo la tradizione dall'apostolo Andrea. Il nostro incontro fraterno sottolinea la relazione speciale che unisce le Chiese di Roma e di Costantinopoli quali Chiese Sorelle.»
«la mia presenza qui oggi è destinata a rinnovare il comune impegno per proseguire sulla strada verso il ristabilimento – con la grazia di Dio – della piena comunione fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli. Posso assicurarvi che la Chiesa Cattolica è pronta a fare tutto il possibile per superare gli ostacoli e per ricercare, insieme con i nostri fratelli e sorelle ortodossi, mezzi sempre più efficaci di collaborazione pastorale a tale scopo.
I due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, erano dei pescatori che Gesù chiamò a diventare pescatori di uomini. Il Signore Risorto, prima della sua Ascensione, li inviò insieme agli altri Apostoli con la missione di fare discepole tutte le nazioni, battezzandole e proclamando i suoi insegnamenti (cfr Mt 28,19 ss; Lc 24,47; At 1,8).
Questo incarico lasciatoci dai santi fratelli Pietro e Paolo è lungi dall'essere compiuto. Al contrario, oggi esso è ancora più urgente e necessario. Esso infatti riguarda non soltanto le culture toccate marginalmente dal messaggio del Vangelo, ma anche le culture europee da lunga data profondamente radicate nella tradizione cristiana. Il processo di secolarizzazione ha indebolita la tenuta di quella tradizione; essa anzi è posta in questione e persino rigettata. Di fronte a questa realtà, siamo chiamati, insieme con tutte le altre comunità cristiane, a rinnovare la consapevolezza dell'Europa circa le proprie radici, tradizioni e valori cristiani, ridando loro nuova vitalità.
I nostri sforzi per edificare legami più stretti fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse sono parte di questo compito missionario. Le divisioni esistenti fra i cristiani sono uno scandalo per il mondo ed un ostacolo per la proclamazione del Vangelo.»
«Simon Pietro e Andrea furono chiamati insieme a diventare pescatori di uomini. Ma lo stesso impegno prese forme differenti per ciascuno dei due fratelli.
Simone, nonostante la sua personale fragilità, fu chiamato "Pietro", la "roccia" sulla quale sarebbe stata edificata la Chiesa; a lui in maniera particolare furono affidate le chiavi del Regno dei Cieli (cfr Mt 16,18).
Il suo itinerario lo avrebbe condotto da Gerusalemme ad Antiochia, e da Antiochia a Roma, così che in quella città egli potesse esercitare una responsabilità universale. Il tema del servizio universale di Pietro e dei suoi Successori ha sfortunatamente dato origine alle nostre differenze di opinione, che speriamo di superare, grazie anche al dialogo teologico, ripreso di recente.
Il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, parlò della misericordia che caratterizza il servizio all'unità di Pietro, una misericordia che Pietro stesso sperimentò per primo (Enciclica Ut unum sint, 91). Su questa base il Papa Giovanni Paolo fece l'invito ad entrare in dialogo fraterno, con lo scopo di identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura e l'essenza, così da "realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (ibid., 95). È mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito.
Andrea, il fratello di Simon Pietro, ricevette un altro incarico dal Signore, un incarico che il suo stesso nome suggeriva. Essendo in grado di parlare greco, divenne – insieme a Filippo – l'Apostolo dell'incontro con i Greci venuti da Gesù (cfr Gv 12,20 ss). La tradizione ci racconta che fu missionario non soltanto nell'Asia Minore e nei territori a sud del Mar Nero, cioè in questa stessa regione, ma anche in Grecia, dove patì il martirio.
Pertanto, l'apostolo Andrea rappresenta l'incontro fra la cristianità primitiva e la cultura greca. Questo incontro, particolarmente nell'Asia Minore, divenne possibile grazie specialmente ai grandi Padri della Cappadocia, che arricchirono la liturgia, la teologia e la spiritualità sia delle Chiese Orientali sia di quelle Occidentali. Il messaggio cristiano, come il chicco di grano (cfr Gv 12,24), è caduto su questa terra e ha portato molto frutto. Dobbiamo essere profondamente grati per l'eredità che è derivata dal fruttuoso incontro fra il messaggio cristiano e la cultura ellenica. Ciò ha avuto un impatto duraturo sulle Chiese dell'Oriente e dell'Occidente. I Padri Greci ci hanno lasciato un prezioso tesoro dal quale la Chiesa continua ad attingere ricchezze antiche e nuove (cfr Mt 13,52).
La lezione del chicco di grano che muore per portare frutto ha pure un riscontro nella vita di sant'Andrea. La tradizione ci racconta che egli seguì il destino del suo Signore e Maestro, finendo i propri giorni a Patrasso, in Grecia. Come Pietro, egli subì il martirio su una croce, quella diagonale che veneriamo oggi come la croce di sant'Andrea. Dal suo esempio apprendiamo che il cammino di ogni singolo cristiano, come quello della Chiesa tutta intera, porta a vita nuova, alla vita eterna, attraverso l'imitazione di Cristo e l'esperienza della croce.»
«La Divina Liturgia alla quale abbiamo partecipato è stata celebrata secondo il rito di san Giovanni Crisostomo. La croce e la risurrezione di Gesù Cristo sono state rese misticamente presenti. Per noi cristiani questo è sorgente e segno di una speranza costantemente rinnovata. Troviamo tale speranza magnificamente espressa nell'antico testo conosciuto come Passione di sant'Andrea: "Ti saluto, o Croce, consacrata dal Corpo di Cristo e adorna delle sue membra come di pietre preziose... Che i fedeli conoscano la tua gioia, e i doni che in te sono conservati...".
Questa fede nella morte redentrice di Gesù sulla croce e questa speranza che Cristo risorto offre all'intera famiglia umana, sono da noi tutti condivise, Ortodossi e Cattolici.
Che la nostra preghiera ed attività quotidiane siano ispirate dal fervente desiderio non soltanto di essere presenti alla Divina Liturgia, ma di essere in grado di celebrarla insieme, per prendere parte all'unica mensa del Signore, condividendo il medesimo pane e lo stesso calice. Che il nostro incontro odierno serva come spinta e gioiosa anticipazione del dono della piena comunione.
E che lo Spirito di Dio ci accompagni nel nostro cammino!»
Etichette:
Benedictus benedicat,
Ecumenismo,
Omnium Sanctorum,
Ortodossìa
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
A proposito della divina liturgia celebrata al Fanar nella festa di sant'Andrea cui ha assistito Benedetto XVI, l'intellettuale francese Matzneff ha rilasciato interessanti considerazioni alla giornalista Nicoletta Tiliacos
(Il Foglio del 29 novembre2006)
"...Si rinnova così, sotto gli occhi del mondo, l’emozione che la liturgia ortodossa, con la sontuosità del suo simbolismo cerimoniale e con la sua ieraticità, riesce a suscitare in chi la osserva, non importa che si sia credenti o agnostici.
Lo scrittore francese Gabriel Matzneff, figlio di emigrati russi fuggiti dalla rivoluzione, quindi ortodosso per tradizione familiare, spiega così al Foglio i motivi della forza di quella liturgia: “Le due realtà attraverso le quali possiamo percepire, indovinare, il viso di Dio, il viso del Cristo, sono l’amore e la bellezza.
La funzione ortodossa è esattamente questo: un memoriale fatto di amore e bellezza, con un richiamo costante alla carnalità”. Perché “agli ortodossi non si confà la teologia astratta.
C’è una famosa battuta di Totò, che dice che i peccati della carne si fanno con la carne e non con le ossa. Io direi la stessa cosa della religione. Il Verbo, dice san Giovanni, si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Da ortodosso, mi piace la ‘carne’ della chiesa”. Questo significa “che mi piace accendere una candela, baciare l’icona, tuffarmi nei canti e nel profumo d’incenso. E’ un modo per percepire l’incarnazione del Cristo”.
Per la chiesa ortodossa, ricorda ancora Gabriel Matzneff, “il testo più importante, naturalmente dopo il Vangelo, è una raccolta di testi spirituali, chiamata ‘Filocalia’, che letteralmente significa ‘amore della bellezza’.
La bellezza estetica coincide con la bellezza del pensiero e del cuore.
Sono convinto che nei paesi dell’Europa orientale la fede sia riuscita a sopravviverea settant’anni di terribile persecuzione proprio grazie a questa bellezza. Alla bellezza di riti carichi di spiritualità, alla teologia incarnata nella liturgia”.
La Filocalia è il libro che porta sempre con sé il protagonista dei “Racconti di un pellegrino russo”, un libro ottocentesco dall’origine incerta, diventato il più conosciuto e diffuso nel mondo ortodosso russo. Il pellegrino narra, tra mille avventure, la scoperta e la pratica della preghiera del cuore, la preghiera ininterrotta prescrittadai Padri della chiesa. Quella preghiera diventa il respiro del fedele, la forza che lo conforta ‘fisicamente’ nel suo cammino.
Non si dimentica mai il corpo, nella preghiera e nel rito ortodosso. Tanto che Matzneff, scherzando ma non troppo, parla di “un compito quasi sportivo.
La liturgia prevede di inginocchiarsi tante volte nel corso del rito, di atteggiare le braccia e tutto il corpo in modi precisi, di fare continuamente il segno della croce. E’ una liturgia in movimento, dai tempi lunghissimi.
Durante la Quaresima, soprattutto, abbiamo funzioni che sembrano senza fine.
Qualcuno ha detto che la nostra liturgia è come una grande nave che ti culla. Io direi che è un mare che ti accoglie al meglio se riesci a lasciare il tuo io alla porta della chiesa. Siamo già nell’eternità, fuori da ogni egocentrismo. Quando siamo in chiesa ci sentiamo liberati, grazie a un rito che è antichissimo e sempre attuale, perché le parole del Cristo sono vive, una volta per tutte”. E’ quello che intendeva san Germano, vescovo di Costantinopoli dell’ottavo secolo, quando in un commentario liturgico scriveva che “la chiesa è il cielo sulla terra, dove il Dio del cielo abita e si muove”.
Gabriel Matzneff, il cui ultimo romanzo mutua il titolo da una frase della liturgia ortodossa della settimana santa (“Voici venir le Fiancé”, La Table ronde), spera che il viaggio di Benedetto XVI “dia sostegno agli ortodossi che vivono in Turchia, perché ne hanno davvero bisogno”. E si dice “grande ammiratore di questo Papa, fin dai tempi in cui era ancora il cardinale Ratzinger.
Avevo seguito in televisione i funerali di don Luigi Giussani, e in particolare l’omelia di un prelato dai capelli bianchi, che l’indomani seppi trattarsi di Ratzinger.
In quella predica, lui disse parole che io sentii come profondamente ‘ortodosse’.
Disse che don Giussani era stato toccato, anzi, ferito dal desiderio della bellezza. Cercava la bellezza stessa, la bellezza infinita e così ha trovato Cristo. Ha capito che il cristianesimo non è un sistema intellettuale, un pacchetto di dogmi, un moralismo, ma che il cristianesimo è un incontro, una storia di amore e un avvenimento.
Parole stupende, che potevano essere state pronunciate da un prete ortodosso. Bellezza e amore sono per noi il fulcro della fede”.
Posta un commento