Ovvero: Dei sepolcri rivolti alla Mecca.
[Si sono svolti giovedi' 8 febbraio 2007 alle 15,30 al cimitero Vantiniano di Brescia i funerali di Hina Saleem, la pachistana sgozzata l'11 agosto 2006 a Sarezzo .
La giovane, sepolta nella zona riservata ai fedeli musulmani, era stata uccisa dal padre nella casa dei genitori, e poi seppellita in giardino, perche' la sua progressiva occidentalizzazione non veniva accettata dalla famiglia.
Presenti all'inumazione l'avvocato Loredana Gemelli di Torino,legale di Giuseppe Tempini, il fidanzato e convivente di Hina Salem e l'onorevole Daniela Santanchè.]
"Brescia. Chissà qual è stato il vero film del funerale di Hina Saleem, la ragazza sgozzata sei mesi fa da suo padre perché aveva disonorato la famiglia e le sue tradizioni, e seppellita ieri al cimitero Vantiniano di Brescia in una bara rivolta verso la Mecca.
Arrivato il nullaosta dalla magistratura, ognuno ha inscenato il proprio rito di commiato da un cadavere “conteso fra due mondi”, come ha ammesso ieri il responsabile della comunità pachistana di Brescia, Sajid Hossein.
Prima delle invocazioni dell’imam che al cimitero ripeteva “Allah la aiuti, Allah la perdoni”, i due universi che ruotavano intorno alla vita di Hina, e al suo netto rifiuto delle ferree leggi pachistane e musulmane, si sono scontrati all’obitorio.
Da una parte il suo fidanzato, Giuseppe Tempini, che lei probabilmente amava, e con il quale ha sperimentato tutti gli eccessi della libertà occidentale, che imprecava in dialetto bresciano perché gli era stato vietato l’accesso.
“Qui non puoi entrare perché hai bevuto”, gli ha intimato il fratello di Hina, Suleman, “la nostra religione non lo permette”. E dall’altra gli uomini della famiglia, i parenti maschi arrivati dalla Spagna e dalla Francia, che fuori dalla stanza angusta in cui era stata messa la bara, difendevano l’intimità delle donne, alle quali spetta solo il compito di lavare il corpo senza poterlo seguire al cimitero.
Da una parte il fidanzato che chiedeva invano di poter entrare per stare accanto alla bara, e dall’altra la madre di Hina, coperta da un velo integrale di color rosa, che si abbandonava a un urlo straziante, che “dura da sei mesi”, diceva un parente che vive a Barcellona. E in mezzo la parlamentare di An, Daniela Santanchè, vestita di nero, che cercava di calmarlo, obbligata suo malgrado a fare da “assistente sociale”, e a dirgli “Beppe stai tranquillo, che alla sepoltura potrai assistere anche tu”.
Arrivata a Brescia per rammentare a tutti la sua battaglia contro il fondamentalismo, la parlamentare ha avviato una trattativa con gli uomini della famiglia per far accettare l’indesiderato fidanzato – visto che anche lui esigeva il suo rito, il suo commiato, da Hina.
Prima ancora del rito islamico al cimitero, dove gli uomini hanno seguito la bara fino al luogo della sepoltura – la sezione del cimitero destinata ai musulmani – e si sono tolti le scarpe per pregare, erano tutti lì, in attesa di celebrare un tardivo rito funebre, a inscenare la commedia, questa sì reale, di due mondi che fanno finta di dialogare. Da una parte la madre di Hina, che non vuole parlare con nessuno, che secondo l’onorevole Santanchè dovrebbe costituirsi parte civile al processo contro il marito, anche se tutti sanno che non lo farà mai, e continuerà a vivere privatamente la violenza di cui è stata vittima sua figlia, e dall’altra gli amici italiani di Hina. Come Leo, che fa capire di avere cercato di aiutare Hina, e ha fatto da tramite fra lei e Beppe, prima che si mettessero insieme, e lei finisse a lavorare alla pizzeria Antica India, dove si poteva trovarla fino alle cinque del mattino, con quelle mise audaci, minigonna e top, inaccettabili per chi vive su un solo binario: famiglia e religione.
Il funerale di Hina, che bisognerebbe definire simbolico, se non fosse che questa parola suona un po’ banale, perché solleva molte questioni, tutte legate al multiculturalismo, si conclude così: con il gesto tenero di una ragazza, pachistana ma “svelata” che cerca di gettare una rosa nella fossa: un’amica di Hina, conosciuta ai tempi della sua prima ribellione quando ha cercato rifugio dalla famiglia in una comunità – e quello, ignorato da tutti, del fidanzato che, dopo aver pianto sulla spalla della Santanchè, finalmente può avvicinarsi alla fossa, per buttare la sua, di rosa. Certo, prima c’è tempo per registrare le dichiarazioni a favore del dialogo pronunciate dal sindaco di Brescia, Paolo Corsini, e quelle della parlamentare di An che promette che si batterà perché il corpo di Hina Saleem rimanga a Brescia “perché questa era la patria che aveva scelto”, dice.
E anche per ascoltare Sajid Hossein, che invece dice: “Abbiamo pregato per chiedere la misericordia di Allah”. Se per l’anima corrotta di Hina o per il gesto inconsulto di suo padre, nessuno di noi lo sa."
(Il Foglio; venerdì 9 febbraio 2007)
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