mercoledì, febbraio 28, 2007

DEVOTIO MODERNA [2]


A Palermo, esattamente in via Colonna Rotta, v'è una edicola sacra (o "tabernacolo" o "madonnella" come suol dirsi) con sotto tanto di lapide che assicura il passante che "Chi reciterà un'Ave a questa sagra immagine quadagnerà 100 giorni d'indulgenza concessi da Sua Eminenza il Card. Celesia arcivescovo di Palermo Al 6 gennaio 1887".

Ma qualche pasante, in tempi a noi assai più recenti, ha potuto leggere -e documentare!- accanto alla precedente una più labile seppur assai devota iscrizione a pennarello sull'intonaco: «Madonnina non ti tocco più i tuoi soldi mi dispiace molto».

[fonte Rosalio]

lunedì, febbraio 26, 2007

Carenza di Bosforo /2

Ovvero: "Saturno contro"



Dal 23 febbraio 2007 (e primo venerdì di quaresima) è arrivato sui grandi schermi italiani il nuovo film di Ferzan Ozpetek e parimenti torna, immancabilmente, anche Serra Ylmaz la quale, grazie al viaggio apostolico del sedici volte Benedetto in Turchia, è universalmente apparsa ad Ankara accanto al Papa sfoggiando per l'occasione corti capelli tinti di bianco, probabilmente per non sfigurare accanto alle canizie ratzingeriane.

Ai giornalisti che l'hanno poi intervistata, increduli, chiedendole come mai proprio una "icona gay" fosse stata scelta dal Governo turco per fare da traduttrice ufficiale al Romano Pontefice ed il primo ministro e poi col Presidente della Repubblica (insinuando sottilmente una possibile volontà di Erdogan di mettere in imbarazzo l'ospite poco gradito, quasi che Ratzinger avesse la minima cognizione dell'esistenza stessa di un Ferzan Ozpetek!), parmi che Serra Ylmaz rispondesse un poco alterata che non c'era niente di eclatante nel suo apparire al fianco del Papa poichè la sua attrività principale non era quella di fare la "Musa" del regista suo conterraneo.
Poi però in "Saturno contro" recita la parte di una donna turca che fa la traduttrice-interprete e con i capelli color platino.

venerdì, febbraio 23, 2007

VIA CRUCIS [4]




[¡ Viva el Caballo de Triana!]

giovedì, febbraio 22, 2007

L'aringa rosa /5


Mi rendo ben conto - e ne chiedo venia- che "In festo Cathedra Beati Petri Apostoli" bisognerebbe rivolgere elevati pensieri all'eccelso trono papale e non rivolgere lo sguardo allo scranno dell'italico Presidente del Consiglio dei Ministri, sede vacante dopo che, per il voto avverso del Senato della Repubblica, Romano Prodi nel vespero del 21 febbraio ha formalmente rassegnato le dimissioni nelle mani del capo dello Stato.

La mozione in appoggio alla politica estera del Governo è stata battuta poiché essendo la maggioranza assai risicata, e che inoltre il fatto che due senatori di Rifondazione Comunista abbiano disertato il voto o che per esempio Oscar Luigi Scalfaro stesse male, ha inesorabilmente pregiudicato il risultato.
Epperò il fatto che la maggioranza è mancata per l'astensione del senatore a vita Giulio Andreotti, astensione che in Senato è conteggiata come voto contrario, ha fatto nascere nelle menti dei lettori del Codice da Vinci il sospetto che il pio Giulio, dopo esser presumibilmente andato la mattina a ricevere le sacre ceneri nella sua parrocchia di San Giovanni dei Fiorentini, abbia deciso di attuare il suo primo fioretto quaresimale e di far fare penitenza al Governo Prodi per le recenti irose e volgari reazioni contro i sacri pastori della Chiesa e vieppiù contro il sommo magistero della cattedra romana.

Ovviamente questa è bassa e volgare dietrologia, poiché prima o poi doveva succedere che qualche onorevole perdesse il treno e che qualche novantenne senatore a vita si ammalasse (o magari morisse) e perciò la maggioranza al senato sarebbe presto o tardi mancata. Il dato rilevante è che in questa occasione la maggioranza traballante faceva affidamento proprio sul voto favorevole di Andreotti (dopo che anche Cossiga è arrivato in Senato iroso per il doppiogiochismo dei partiti della maggioranza nel caso dell'allargamento della base americana di Vicenza).

Il peccato che Prodi ha dovuto espiare è stato proprio quello di contare ciecamente sul voto favorevole di Andreotti.
Glielo aveva anche detto chiaramente giorni or sono quando divampava la polemica sui "DiCo": che memori della Commedia dantesca a seguire i sodomiti si finiva all'Inferno!

L'onorevole Grillini aveva risposto che i sodomiti vanno anche in Paradiso poiché Dante li pone anche in una delle sette balze del monte del Purgatorio, perciò, prima o poi, verranno anch'essi assunti nell'Empireo.

A conti fatti credo che il senatore Andreotti, mentre rilasciava quella dichiarazione indirizzata esplicitamente a Prodi, non ignorasse affatto la seconda cantica della Divina Commedia, ma stesse invece vaticinando il possibile finale di una "commedia all'italiana".

mercoledì, febbraio 21, 2007

Ossa et Cineres


"Se non fossi tuo, mio Cristo,/mi sentirei creatura finita./
Sono nato e mi sento dissolvere./ Mangio, dormo, riposo e cammino,/ mi ammalo e guarisco,/ mi assalgono senza numero brame/ e tormenti, godo del sole/ e di quanto la terra fruttifica./ Poi io muoio e la carne diventa polvere/ come quella degli animali/ che non hanno peccati./ Ma io cosa ho piu' di loro? Nulla,/ se non Dio. Se non fossi tuo,/ Cristo mio, mi sentirei creatura finita."
[San Gregorio Nazianzeno]

martedì, febbraio 20, 2007

musica musicanti ! 2

Ovvero: "SALUD Y BUEN VIAJE "

"Fin dall'età di sette anni avvertii la suprema chiamata di Dio, la grazia della vocazione alla vita religiosa. A sette anni intesi per la prima volta la voce di Dio nella mia anima, cioè la chiamata ad una vita più perfetta, ma non sempre ubbidii alla voce della grazia. Non incontrai nessuno che mi chiarisse queste cose.

Diciottesimo anno di vita; insistente richiesta ai genitori del permesso di entrare in convento; rifiuto categorico dei genitori.
Dopo tale rifiuto mi diedi alle vanità della vita, non rivolgendo alcuna attenzione alla voce della grazia, sebbene l'anima mia non trovasse soddisfazione in nulla. Il richiamo continuo della grazia era per me un gran tormento, però cercavo di soffocarlo con i passatempi. Evitavo d'incontrarmi con Dio intimamente e con tutta l'anima mi rivolgevo verso le creature. Ma fu la grazia di Dio ad avere il sopravvento nella mia anima.

Una volta ero andata ad un ballo con una delle mie sorelle. Quando tutti si divertivano moltissimo, l'anima mia cominciò a provare intimi tormenti.
Al momento in cui cominciai a ballare, scorsi improvvisamente Gesù accanto a me, Gesù flagellato, spogliato delle vesti, tutto coperto di ferite, che mi disse queste parole: « Quanto tempo ancora ti dovrò sopportare? Fino a quando mi ingannerai?». All'istante si spense l'allegro suono della musica; scomparve dalla mia vista la compagnia in cui mi trovavo. Rimanemmo soli Gesù e io.

Mi sedetti accanto alla mia cara sorella, facendo passare per un mal di testa quanto era accaduto dentro di me. Poco dopo abbandonai la compagnia e la sorella senza farmi scorgere e andai nella cattedrale di S. Stanislao Kostka. Era quasi buio. Nella cattedrale c'erano poche persone. Senza badare affatto a quanto accadeva intorno, mi prostrai, le braccia stese, davanti al SS.mo Sacramento e chiesi al Signore che si degnasse di farmi conoscere ciò che dovevo fare. Udii allora queste parole: « Parti immediatamente per Varsavia; là entrerai in convento ». "

[Santa Faustina Kowalska ; DIARIO]

giovedì, febbraio 15, 2007

Breve ai Principi


Ovvero: Lezione di storia del reverendo Gianni Baget Bozzo che spiega la diversità "antropologica" tra "democratici cristiani" e "cattolici democratici".
[Epitome di un articolo sul Foglio di giovedì 15 febbraio 2007]

"I sessanta parlamentari della Margherita che hanno fatto giungere al capogruppo dell’Ulivo la loro dichiarazione in favore delle leggi sulle coppie di fatto volevano indubbiamente richiamarsi a dei precedenti. Ad Alcide De Gasperi, che minaccia le dimissioni del governo se una giunta comunale con l’estrema destra fosse costituita a Roma; ad Amintore Fanfani o ad Aldo Moro che resistono alle pressioni del cardinale Giuseppe Siri contro l’apertura a sinistra. In breve a quella che si è chiamata autonomia politica dei cattolici, tema riconosciuto ormai il più canonicamente possibile.
Ma questa volta i tentativi di far risalire il Dico ai precedenti della operazione Sturzo non sono riusciti. Allora la materia del dissenso era prevalentemente politica: poteva l’Italia rischiare la vittoria della sinistra?
E lo stesso problema si poneva per il centrosinistra di Fanfani e di Moro.
Le questioni aperte erano in tema di alleanze politiche e, in quella materia, certamente l’autonomia era un principio.

Questa volta la materia, lo statuto del matrimonio e della famiglia, è così evidentemente ecclesiastica da non permettere a Rosy Bindi di assurgere alla gloria di testimone della responsabilità politica dei cattolici.
Eppure certamente vi è qualcosa di cattolico democratico nella gestione dei Dico, ma ciò che diciamo cattolico democratico non è democratico cristiano.
Tra l’una e l’altra parola c’è una differenza storica di significato.
Cattolico democratico è un termine che nasce nel quadro dell’organizzazione politica del Pci, che dona il termine “democratico” a tutte le associazioni culturali che promuove: e cattolici democratici furono chiamati gli indipendenti di sinistra cattolici che vennero eletti in Parlamento nel 1976.
I due termini “democratico cristiano” e “cattolico democratico” hanno dunque storie diverse.
Il termine Democrazia cristiana indica l’emergere del movimento politico sociale cattolico nello stato liberale, in cui esso deve poter entrare a pieno titolo. Ciò richiede che il potere della chiesa sulle cose temporali sia ancora più indiretto di quello che san Roberto Bellarmino pensava; e può così configurarsi come autonomia politica. Ma questo avviene all’interno di una chiesa che vive l’esperienza democratico cristiana come propria, che la regola con encicliche papali, la sostiene nelle sue organizzazioni.

Lo stato liberale accetta che il movimento cattolico rimanga parte della vita ecclesiale e la esprima in politica, e così venga considerato laico a tutti gli effetti.
L’autonomia dei cattolici, la laicità della politica, sono le forme di mediazione storica con cui la chiesa, cacciata dallo stato liberale con la forza, vi rientra con la democrazia.
La forma democratica dello stato liberale è la porta d’ingresso della chiesa nella società moderna accettandone nei limiti a essa consentiti alcuni valori, mantenendo le gerarchie ecclesiastiche come ultimo decisore nei territori di crisi.
I democratici cristiani agiscono quindi all’interno della chiesa e la loro laicità è riconosciuta come interna alla chiesa dallo stato democratico.
I conflitti ricordati tra chiesa e partito vengono sempre risolti con l’accordo di ambedue.

I cattolici democratici nascono invece sotto il segno di un rapporto con un’altra tradizione politica, quello della sinistra.
Muovono dalla convinzione postconciliare che l’apertura all’altro sia la dimensione propria del cattolico e che egli deve motivarsi non rispetto allo stato liberale ma di fronte alla tradizione della sinistra come forza portante del movimento democratico in Italia.
Lo stato liberale può accettare la neutralità politica davanti ai vari partiti e quindi accogliere la laicità cristiana come una forma propria di partito nelle istituzioni liberali.
La sinistra chiede una partecipazione culturale alla sua storia, chiede quindi qualcosa di diverso da un riferimento istituzionale in termini di contenuto. E quindi una accettazione della sua egemonia.

Negli anni Sessanta e Settanta la grande crisi postconciliare consentirà le più varie declinazioni dell’appartenenza cattolica con le scelte di sinistra, determinando conflittualità che conducono anche all’abbandono del cristianesimo.
Non si tratta più di fare la democrazia e di costruire lo stato come nel caso liberale ma di ordinare la storia del mondo come compito proprio dell’uomo e specificamente del cristiano.
Ne viene così una diaspora cristiana di imponenti dimensioni che trova la sua identità nella partecipazione alla storia; e il fatto cattolico viene interpretato in modo da diventar omogeneo, attraverso i temi della giustizia sociale e della pace, alla visione rivoluzionaria della storia.

La storia democristiana italiana termina con Aldo Moro, ciò che segue non riesce più a pensare l’identità politica come formata dalla appartenenza ecclesiale.
Così il cattolicesimo democratico diventerà maggioritario anche tra le file della Dc e il partito di Sturzo, di De Gasperi e di Moro diviene lentamente un partito cattolico democratico che concepisce la sua storia nel quadro della narrazione comunista e non si concepisce più come parte della storia della chiesa italiana.

Dopo Moro si ha una certa decristianizzazione della politica democristiana che si compie nella figura di Carlo Donat Cattin travolto, segno singolare dei tempi, dalla tragedia di un figlio terrorista. Forse la scena di Paolo VI che supplica gli uomini delle Brigate rosse di liberare Aldo Moro dà immagine alla fine della Democrazia cristiana come partito intraecclesiale in cui l’autonomia politica era interna alla chiesa e quindi inevitabilmente diveniva negoziata con essa. Se la Dc accettò di firmare la legge sul divorzio e la legge sull’aborto, essa compensò la chiesa con due referendum destinati a sicuro insuccesso ma che esprimevano la volontà del partito cristiano di permettere alla gerarchia di preservare la sua identità, anche a danno della politica.
Da quel momento gradualmente la chiesa esce dalla storia del partito cristiano e la Dc da quella della chiesa...."

mercoledì, febbraio 14, 2007

Pacco, contropacco e contropaccotto /6

Ovvero: Prefazione scritta dal metropolita Kirill di Smolensk (presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca) al libro di Joseph Ratzinger Introduzione al Cristianesimo pubblicato per la prima volta in lingua russa dalla "Biblioteca dello Spirito" per decisione del patriarcato di Mosca.


"Il libro Introduzione al Cristianesimo che proponiamo ora al lettore russo, fu pubblicato per la prima volta quasi quarant’anni fa, nel 1968. Raccoglie le lezioni tenute nel corso dell’estate 1967 all’Università di Tubinga dal sacerdote Joseph Ratzinger, che in seguito sarebbe diventato papa Benedetto XVI. Non è tuttavia l’attuale posizione dell’autore a motivare la pubblicazione di questo libro in Russia oggi.
A mio parere, la ragione principale per la quale il volume è stato più volte stampato e tradotto in diverse lingue risiede nell’attualità del tema che vi viene trattato, un’attualità che aumenta di anno in anno. Può sembrare paradossale, ma noi, cristiani dell’inizio del terzo millennio, abbiamo sempre più bisogno di un’introduzione al cristianesimo, di riscoprirne cioè i principi fondanti, di ritornare ai capisaldi, alle origini. Questa necessità è sentita in modo particolarmente acuto nel continente europeo, per secoli culla del cristianesimo, e la cui cultura e civiltà si fondano sulla fede cristiana.

Introduzione al Cristianesimo è un tentativo di chiarire in profondità il significato della fede in Cristo nel mondo moderno.
Qualcuno potrebbe obiettare che gli anni 60 del secolo scorso sono molto diversi dal contesto in cui l’umanità vive oggi. Che cosa può dire - verrebbe fatto di chiedersi - questo libro al lettore contemporaneo, all’uomo che vive nell’epoca di internet, dei telefoni cellulari e della globalizzazione?
Ahimè, il progresso tecnologico e i mutamenti sociali creano condizioni più agiate di vita materiale ma non influiscono positivamente sulla vita spirituale della gente. Al contrario, le tendenze preoccupanti che si osservavano già negli anni 60 nella condizione spirituale del mondo che soleva farsi chiamare cristiano, hanno oggi acquistato piena forza, e l’Europa si vergogna addirittura delle proprie radici cristiane.

Analizzando la situazione attuale del cristianesimo in Europa si è facilmente tentati di ricondurre le diversità e le difficoltà esclusivamente a fattori storici e politici. Tanto più che sulla situazione religiosa dei paesi dell’Est Europa, e soprattutto della Russia, hanno notevolmente influito le persecuzioni contro la fede perpetrate dai regimi totalitari. Nella prima metà del XX secolo, fu sottoposta a persecuzioni analoghe anche la Chiesa cattolica in Messico e nella Spagna repubblicana.
Va sottolineato che anche coloro che perseguitarono i cristiani a quel tempo, erano cresciuti a loro volta in un contesto cristiano, avevano avuto costantemente la possibilità di udire l’annuncio della fede. E nonostante questo, per vari motivi non accolsero «le parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Furono loro a rifiutarlo intenzionalmente, o forse i portatori dell’annuncio cristiano vennero meno in qualche modo alla loro missione?
Penso che noi, come credenti e membri della Chiesa, che abbiamo come primo compito quello di annunziare il Vangelo, dobbiamo trarre una lezione dalla storia e decidere nuovamente, ognuno per se stesso, che cosa dire e in che modo parlare al mondo di Cristo, per poter essere ascoltati.

Mi arrischio ad asserire qui che un grave fattore che ostacola la capacità di accogliere l’annuncio cristiano nel mondo secolarizzato di oggi è il fatto che noi cristiani, in Occidente come in Oriente, ci siamo preoccupati prevalentemente di trovare un linguaggio adeguato per dialogare con il mondo, dimenticandoci nel contempo i contenuti da comunicare. In realtà, l’essenza e il significato della Buona Novella che siamo chiamati ad annunciare è la Verità stessa, la quale ha in sé una grande capacità di attirare le persone, parlando direttamente ai loro cuori. A noi tocca semplicemente presentare agli uomini la Verità in tutta la sua integrità e pienezza, e poi sarà essa stessa a farli liberi (cfr. Gv 8,32). Proprio per questo motivo è necessario tornare continuamente alle origini, alla Tradizione, che riveste un’importanza vitale per la Chiesa perché in ultima analisi scaturisce dal Dio che si è fatto Uomo.

Dobbiamo ricordare sempre che il centro del nostro annuncio dev’essere il Verbo Divino Incarnato, il nostro Signore Gesù Cristo. È Lui che prima di tutto dobbiamo far conoscere agli uomini. Se così faremo, le nostre parole troveranno sempre maggior ascolto, così come tutto il mondo prestò ascolto agli Apostoli, semplici pescatori della Galilea.

Mi pare che proprio questo sia il messaggio essenziale contenuto nel libro Introduzione al Cristianesimo. Per questo, è così importante per noi prendere in esame la personalità del suo autore. Joseph Ratzinger era noto in tutto il mondo come illustre teologo, molto prima di essere eletto Papa e anche prima di essere nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Per questo motivo, l’attuale pontefice ha sempre goduto di una solida fama di tradizionalista e conservatore, tanto da essere guardato con una certa diffidenza dagli ambienti liberali che, purtroppo, guadagnano sempre più posizione nel mondo cristiano contemporaneo. Per qualche ragione, infatti, la mentalità comune fa coincidere il conservatorismo con una ristrettezza di vedute, mentre questo in realtà non è assolutamente vero. Il tradizionalismo di Benedetto XVI è uno sguardo che va in profondità, una saggia capacità di cogliere l’essenza intima delle cose. Attraverso la preoccupazione che gli è propria di ritornare ai fondamenti del cristianesimo, egli non intende affatto sottrarsi ai gravi interrogativi che il mondo pone: al contrario, vi risponde con decisione, sempre fondandosi sull’eterna e immutabile Verità.
Del resto, il mondo muta solo esteriormente, e gli interrogativi che pone sono gli stessi di mille anni fa; neppure il contenuto delle nostre risposte, quindi, deve cambiare.
Questo - è mia profonda convinzione - deve essere l’atteggiamento di tutti i cristiani che desiderino rimanere fedeli all’eternamente giovane Tradizione della Chiesa a fronte dell’ennesima offensiva del relativismo totalitario di cui siamo oggi spettatori. Tale fedeltà alla tradizione è oggi professata con chiarezza dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa cattolica. Questo avvicina le loro posizioni e lascia sperare in un superamento dei problemi che esistono attualmente fra di esse, affinché possano giungere a una feconda collaborazione nell’annuncio dei valori cristiani. Proprio questo spirito di fedeltà alle nostre comuni radici permea letteralmente il libro di papa Benedetto XVI, Introduzione al Cristianesimo, che raccomando calorosamente ai lettori ortodossi così a come tutti i credenti in Cristo e a coloro che sono ancora alla ricerca di una strada che conduca alla Verità."

[Tracce, gennaio 2007]

martedì, febbraio 13, 2007

Divina Enfermera

Ovvero: "In Portogallo si conserverà il dogma della fede etc"

E’ scandaloso: per la seconda volta (la prima fu nel 1998) il Portogallo ha mostrato di non sentire affatto l’urgenza di modernità, l’ansia di avvicinarsi alla Spagna, o persino all’Italia.

E’ scandaloso, nessun quorum è stato raggiunto [domenica 11 febbraio, ndr] per modificare la legge sull’aborto (che non lo vieta, ma prevede l’interruzione di gravidanza nelle prime dodici settimane in caso di rischio per la vita o la salute mentale della madre, fino a sedici se la gravidanza è stata causata da una violenza, e fino alla ventiquattresima in caso di malformazioni del feto), e il quaranta per cento di coloro che sono andati a votare si sono espressi per il no.

Hanno detto, insomma, che la legge funziona bene così. Nonostante la campagna referendaria sia stata potente e guidata dal premier in persona, e nonostante il ceto politico abbia evidentemente una gran voglia di non sentirsi più in clamoroso ritardo rispetto alla storia.

Mentre l’Europa s’interroga mollemente sui limiti della scienza, su un’eugenetica accettabile e gentile e su magnifiche possibilità ancora inesplorate di manipolazione, il Portogallo ride in faccia anche al proprio primo ministro e sceglie il super eccezionalismo.
Preferisce restare fuori moda: certamente avrà presto l’annunciata riforma libertaria dell’aborto, per via legislativa, ma ha appena dimostrato, con un gesto enorme che non potrà mai passare per indifferentismo etico, di non avvertire alcun passionale bisogno di inseguire il resto del mondo, e soprattutto di non considerare l’interruzione di gravidanza una conquista.
(Giuliano Ferrara; Il Foglio di martedì 13 febbraio 2007)


domenica, febbraio 11, 2007

ADVERSUS HAERESES, IX

Ovvero: l'Eresiarca Eugenio.

Se qualcuno sostenesse che «La grazia non passa attraverso l'intermediazione dei presbiteri, ma il Signore la dispensa direttamente ai fedeli che credono in lui e da lui prescelti»: Anathema sit!

sabato, febbraio 10, 2007

vite parallele /9

Dopo che Mussolini strinse il "Patto d'acciaio" con la Germania nazista, l'ottantenne papa Pio XI manifestò sempre più la sua insofferenza di fronte alla piega neopagana ed antisemita del fascismo italiano.
Non era quella epoca in cui i pontefici facevano esternazioni dalla finestra del proprio appartamento: vigeva uno stile molto più sobrio che prevedeva alcune, assai limitate, nonchè solenni occasioni in cui i pontefici manifestavano le proprie ambascie all'universo mondo nonchè all'universo clero. Per cui Pio XI, rimasto fino alla fine assai irruento nelle proprie decisioni, progettò la stesura di alcuni solenni documenti sui pericoli del nazifascismo.

Dopo che nell'ottobre 1938 le SS avevano scatenatola “Notte dei cristalli” il papa dette l'ordine al gesuita padre Forges di preparare l'enciclica di condanna della politica nazifascista. La stesura dell'enciclica si fece attendere a causa dei ripensamenti e correzioni apportate dal gesuita che una volta completata l'opera nel gennaio '39 non la consegnò al pontefice ma fu consegnata nelle mani del padre generale dell'ordine gesuita affinchè desse il suo autorevole giudizio.

Che qualcosa di poco favorevole alla politica fascista si stesse architettando fra le mura vaticane, Mussolini ne aveva avuto sentore e di ciò era molto irritato ed anche spaventato.
Ai primio di febbraio, le condizzioni di salute dell'anziano pontefice si aggravarono ma Pio XI rimaneva fiducioso di poter rivolgere solennemente la vibrata allocuzione contro il regime fascista in data 11 febbraio, cioè del decimo anniversario dei Patti Lateranensi, di fronte a tutto l'episcopato italiano convocato in Vaticano per l'occasione.
Galeazzo Ciano scriveva nel suo diario di quei giorni dell'estrema malattia di Pio XI: “Mussolini è preoccupato in questi giorni, ha paura della scomunica”.

Le condizioni di Pio XI s'aggravarono e il papa morì proprio alla vigilia dell'11 febbraio. Causa della morte "arresto cardiaco" come dichiarato dal professor Franco Petacci: uno degli archiatri pontifici nonchè padre di Claretta l'amante di Mussolini.
Ricevuta la ferale notizia Benito Mussolini s'affretto a manifestare, a nome suo e dell'Italia tutta, "fascistissime" condoglianze.



Ai primi di febbraio dell'anno di grazia 2007 in Italia non si è affatto concordi intorno al fatto che il pontefice "ccioiosamente" regnante parli troppo o troppo poco, e che quando parli pergiunta sbagli anche l'argomento.

Si disquisisce pubblicamente sulla "scaletta" degli angelus domenicali come ha fatto Pippo Baudo domenica 4 febbraio intervenendo telefonicamente alla trasmissione "Quelli che... il Calcio" prendendosela con un papa (e una Chiesa) "fuori della realtà"; poichè Benedetto XVI non della crisi del Calcio italiano, provocata dell'assassinio del poliziotto Filippo Raciti per mano degli ultras del Catania, ma aveva parlato di difesa della vita nascente (essendo la prima domenica di febbraio per la Chiesa italiana la "giornata della vita") e del valore della famiglia naturale fondata sul matrimonio.

E'evidente che nell' Angelus di domenica 4 febbaio, parlando espressamente ai fedeli della diocesi di Roma, lamentando le attuali "sfide" della famiglia, papa Ratzinger intendesse riferirsi al progetto del Governo Prodi di istituire i "Pacs"; perchè stupirsene? Forse che il Papa non è libero di dire o di non dire ciò per cui è rammaricato?

E mentre il Papa dell'introduzione dei Pacs in Italia altro non poteva fare che rammaricarsi, invece la Conferenza Episcopale Italiana dalle pagine dell'Avvenire di martedì 6 febbraio proclama il proprio solenne "NON POSSUMUS". E' infatti lapalissiano che l'episcopato italiano, in quanto formato da cittadini italiani, che attendono alla guida spirituale di altri cittadini italiani, esprima le proprie doglianze per una legislazione che svilisca l'istituto della "famiglia fondata sul matrimonio" come definito dalla stessa Costituzione.

A Palazzo Chigi quel «non possumus» scagliato contro il governo dalle colonne dell'Avvenire è stato considerato un passo falso della gerarchia cattolica, presieduta da un Cardinal Ruini ormai al tramonto che avrebbe così sparato la sua ultima cartuccia. Perciò la Chiesa Cattolica non può far alcuna pressione politica su Prodi ma anzi le sue solenni esternazioni hanno finito per diventare controproducenti, poiché la dichiarazione della CEI ha ottenuto il risultato di far indignare sia gli ex democristiani di sinistra e sia i laici moderati della destra.

E mentre Casini, Berlusconi e Fini si stracciano fintamente le vesti piangendo la morte della sacralità della famiglia (ringraziando Iddio in cuor loro che la legge che anch'essi auspicavano sia stata fatta dalla coalizione avversa); Romano Prodi e Rosy Bindi il 7 febbraio approvavano il decreto con cui si istituivano i "DICO", cioè i pacs all'italiana, e ventiquattr'ore dopo, nel pomeriggio di Giovedì 8 febbraio si recavano all'Arcibasilica Lateranense per partecipare devotamente alla santa messa commemorativi dei 39 anni di fondazione della Comunità di Sant'Egidio.



Approvato il decreto Bindi-Pollastrini, Romano Prodi è potuto partire serenamente per il suo viaggio ufficiale in India, facendo intuire dai suoi "dico e non dico" che lo scandalo per l'approvazione dei "DICO" si sarebbe sgonfiato presto inghiottito dallo scandalizzarsi del mondo laico, progressista, nonchè anticlericale che, propizio l'anniversario del Concordato, ha esternato il proprio allarme per il "neo temporalismo" di un Vaticano isterico che strilla tanto per una legge che non è nemmeno la pallida ombra di ciò che ha attuato Zapatero nella cattolicissima Spagna.

Di questa violazione continua e reiterata del Concordato da parte di Benedetto XVI è stato considerato fulgido esempio il discorso in lingua spagnola al nuovo ambaciatore della Colombia in data 9 febbraio in cui il Papa ha espresso preoccupazione per quegli interventi legislativi in materie assai delicate quali la vita e la morte, l'identità della famiglia e il rispetto dell'istituto matrimoniale. Ovviamente la Nazione cui Benedetto XVI stava rivolgendo le sue ambascie non era l'Italia ma la Colombia ma per i mass-media pare che questo particolare sia irrilevante.
Non pago, il giorno appresso nel discorso in lingua francese rivolto ai membri dell'Académie des Sciences Morales et Politiques di Parigi, il Papa ha richiamato l'importanza fondamentale del Diritto naturale quale base per il Diritto positivo.
Per molti italici commentatori politici è la prova provata che Benedetto XVI non perde occasione per criticare il Governo Prodi.

venerdì, febbraio 09, 2007

La Teologia dell' Informaticizzazione



«Salvare», «convertire», «giustificare»: alcune delle parole chiave dell’informatica rivelano una parentela sorprendente con la tradizione biblica. Che non è soltanto di superficie.

Ovvero: una "Summa teologica del web" partorita dall'operosa meditazione dell' Eccellentissimo Monsignor Teologo Bruno Forte Archepiscopo Teatino.

[Avvenire; giovedì 8 febbraio 2007]

Santa anche subito /8

Ovvero: Dei sepolcri rivolti alla Mecca.


[Si sono svolti giovedi' 8 febbraio 2007 alle 15,30 al cimitero Vantiniano di Brescia i funerali di Hina Saleem, la pachistana sgozzata l'11 agosto 2006 a Sarezzo .
La giovane, sepolta nella zona riservata ai fedeli musulmani, era stata uccisa dal padre nella casa dei genitori, e poi seppellita in giardino, perche' la sua progressiva occidentalizzazione non veniva accettata dalla famiglia.
Presenti all'inumazione l'avvocato Loredana Gemelli di Torino,legale di Giuseppe Tempini, il fidanzato e convivente di Hina Salem e l'onorevole Daniela Santanchè.]



"Brescia. Chissà qual è stato il vero film del funerale di Hina Saleem, la ragazza sgozzata sei mesi fa da suo padre perché aveva disonorato la famiglia e le sue tradizioni, e seppellita ieri al cimitero Vantiniano di Brescia in una bara rivolta verso la Mecca.
Arrivato il nullaosta dalla magistratura, ognuno ha inscenato il proprio rito di commiato da un cadavere “conteso fra due mondi”, come ha ammesso ieri il responsabile della comunità pachistana di Brescia, Sajid Hossein.

Prima delle invocazioni dell’imam che al cimitero ripeteva “Allah la aiuti, Allah la perdoni”, i due universi che ruotavano intorno alla vita di Hina, e al suo netto rifiuto delle ferree leggi pachistane e musulmane, si sono scontrati all’obitorio.

Da una parte il suo fidanzato, Giuseppe Tempini, che lei probabilmente amava, e con il quale ha sperimentato tutti gli eccessi della libertà occidentale, che imprecava in dialetto bresciano perché gli era stato vietato l’accesso.
“Qui non puoi entrare perché hai bevuto”, gli ha intimato il fratello di Hina, Suleman, “la nostra religione non lo permette”. E dall’altra gli uomini della famiglia, i parenti maschi arrivati dalla Spagna e dalla Francia, che fuori dalla stanza angusta in cui era stata messa la bara, difendevano l’intimità delle donne, alle quali spetta solo il compito di lavare il corpo senza poterlo seguire al cimitero.

Da una parte il fidanzato che chiedeva invano di poter entrare per stare accanto alla bara, e dall’altra la madre di Hina, coperta da un velo integrale di color rosa, che si abbandonava a un urlo straziante, che “dura da sei mesi”, diceva un parente che vive a Barcellona. E in mezzo la parlamentare di An, Daniela Santanchè, vestita di nero, che cercava di calmarlo, obbligata suo malgrado a fare da “assistente sociale”, e a dirgli “Beppe stai tranquillo, che alla sepoltura potrai assistere anche tu”.

Arrivata a Brescia per rammentare a tutti la sua battaglia contro il fondamentalismo, la parlamentare ha avviato una trattativa con gli uomini della famiglia per far accettare l’indesiderato fidanzato – visto che anche lui esigeva il suo rito, il suo commiato, da Hina.

Prima ancora del rito islamico al cimitero, dove gli uomini hanno seguito la bara fino al luogo della sepoltura – la sezione del cimitero destinata ai musulmani – e si sono tolti le scarpe per pregare, erano tutti lì, in attesa di celebrare un tardivo rito funebre, a inscenare la commedia, questa sì reale, di due mondi che fanno finta di dialogare. Da una parte la madre di Hina, che non vuole parlare con nessuno, che secondo l’onorevole Santanchè dovrebbe costituirsi parte civile al processo contro il marito, anche se tutti sanno che non lo farà mai, e continuerà a vivere privatamente la violenza di cui è stata vittima sua figlia, e dall’altra gli amici italiani di Hina. Come Leo, che fa capire di avere cercato di aiutare Hina, e ha fatto da tramite fra lei e Beppe, prima che si mettessero insieme, e lei finisse a lavorare alla pizzeria Antica India, dove si poteva trovarla fino alle cinque del mattino, con quelle mise audaci, minigonna e top, inaccettabili per chi vive su un solo binario: famiglia e religione.

Il funerale di Hina, che bisognerebbe definire simbolico, se non fosse che questa parola suona un po’ banale, perché solleva molte questioni, tutte legate al multiculturalismo, si conclude così: con il gesto tenero di una ragazza, pachistana ma “svelata” che cerca di gettare una rosa nella fossa: un’amica di Hina, conosciuta ai tempi della sua prima ribellione quando ha cercato rifugio dalla famiglia in una comunità – e quello, ignorato da tutti, del fidanzato che, dopo aver pianto sulla spalla della Santanchè, finalmente può avvicinarsi alla fossa, per buttare la sua, di rosa. Certo, prima c’è tempo per registrare le dichiarazioni a favore del dialogo pronunciate dal sindaco di Brescia, Paolo Corsini, e quelle della parlamentare di An che promette che si batterà perché il corpo di Hina Saleem rimanga a Brescia “perché questa era la patria che aveva scelto”, dice.

E anche per ascoltare Sajid Hossein, che invece dice: “Abbiamo pregato per chiedere la misericordia di Allah”. Se per l’anima corrotta di Hina o per il gesto inconsulto di suo padre, nessuno di noi lo sa."
(Il Foglio; venerdì 9 febbraio 2007)

Agata guarda, stupisci! /4

Ovvero: Articolo di Massimo Introvigne sul Giornale di venerdì 9 febbraio 2007 che riassume i commenti del mondo islamico alla tragica morte di Filippo Raciti per colpa della tifoseria catanese.



"I fatti di Catania hanno trovato commentatori anche nel mondo islamico internazionale, rinfocolando un dibattito sul calcio che non è irrilevante e ha condotto anche a tumulti e arresti.
Il calcio è lo sport più popolare anche in molti paesi a maggioranza islamica, tre dei quali - Arabia Saudita, Iran e Tunisia - hanno partecipato ai mondiali di calcio dell’anno scorso. Il calcio ha una lunga tradizione in Iran e il mondo sciita non ha mai emesso riserve sul calcio maschile: il dibattito riguarda solo la versione femminile, consentita solo con calzoncini lunghi e velo.

Ma le cose stanno diversamente tra i sunniti.
La violenza negli stadi ha offerto l’occasione a una parte del mondo fondamentalista per condannare il calcio in genere. Si è riesumata una fatwa del teologo saudita al-Najdi, secondo cui uno hadith, cioè un detto del Profeta, vieta ai musulmani i divertimenti dei cristiani e degli ebrei.
Un gruppo di ultra-fondamentalisti sauditi ha chiesto al governo di inventare un gioco del calcio con regole diverse, in modo che sia chiaro che si tratta di un nuovo sport islamico e non di un’imitazione dell’Occidente. Si tratta della stessa mentalità che ha portato alla sostituzione della Coca Cola con la Mecca Cola, ma stavolta il governo saudita e le stesse autorità del puritano islam wahhabita hanno reagito. Il muftì dell'Arabia Saudita, Al-Sheikh, ha chiesto e ottenuto l’arresto degli autori della fatwa.

Peraltro, fuori dell’Arabia Saudita i predicatori radicali vicini ad Al Qaida - ironicamente, perché Bin Laden ha confessato in varie interviste di amare il calcio e di tifare per l'Arsenal di Londra - hanno continuato a condannare non solo chi pratica il calcio, ma anche chi lo guarda alla televisione. Durante i mondiali, le Corti Islamiche in Somalia hanno fatto perfino qualche morto fra i giovani somali che si riunivano nei cinema dove erano proiettate le partite.

Nell’ultima settimana, su diversi siti ultra-fondamentalisti sono apparsi pronunciamenti di imam secondo cui i gravi rischi per l’incolumità sono un ulteriore elemento per vietare ai musulmani di giocare a calcio o assistere alle partite. Ma non tutti sono d’accordo. Secondo i Fratelli Musulmani, invece, i giovani musulmani europei sono ormai acquisiti al pallone, ma il loro interesse per il calcio dev’essere «moderato», e non deve sottrarre tempo alla preghiera. Un sito inglese vicino ai Fratelli esalta anzi l’esempio di calciatori islamici come Zidane, Ribery, Henry e lo svedese dell’Inter Zlatan Ibrahimovic.

Ma certi siti ultra-fondamentalisti sostengono che i giovani delle periferie europee possono addestrarsi utilmente al jihad nelle guerriglie attorno agli stadi, e altri mandano in onda un video più inquietante. Alle immagini della vittoria italiana ai mondiali associano quelle dell’attacco alle Torri Gemelle, concludendo che la vera Coppa del Mondo l’hanno vinta i musulmani, l’11 settembre 2001."

mercoledì, febbraio 07, 2007

Sonetos Fùnebres, XIII



Roma, addì 7 Febbraio 1878.
San Giovanni Bosco che in quei giorni si trovava a Roma scrisse nel suo diario personale:
"Oggi si estingueva il Sommo e Incomparabile astro della Chiesa, il Pontefice Pio IX.
Entro breve tempo sarà subito sugli altari".

Pacs sit cum omnibus vobis /4

Ovvero: "Ma per giusta ragion di Libertà"

"Due personaggi come Pio IX e Bertrand Russell, entrambi insospettabili di connivenze o reciproche simpatie, avevano già lucidamente individuato nel matrimonio monogamico eterosessuale la sola, fondamentale cellula sociale che ha permesso (assieme all’istituzione della proprietà privata, cui è strettamente legato) alla civiltà occidentale di raggiungere i suoi, innegabili, risultati; ed entrambi avevano messo in guardia contro la sua dissoluzione, teorizzata –allora- da neo-positivisti, liberal-massoni e marxisti: i figli degeneri dell’Illuminismo, le malate propaggini dello stato etico hegeliano. L’incubo del “mondo nuovo”, in cui una ristretta oligarchia di “illuminati” decide e governa per tutti gli altri, resi schiavi.
Dati gli interessi in gioco, non stupisce che certi nostalgici di nefaste ideologie siano, tuttora, all’opera per realizzare i loro sogni di folli. Ma le loro parole senza significato, i loro fumosi argomenti illogici e infondati, non ci ingannano: chi sostiene i PACS è un eversore, antidemocratico e antisociale, fautore di un cripto-stalinismo che vuole lo Stato padrone di cittadini soli e inermi: All’armi, siam pacsisti!"

Agata guarda, stupisci! /3

Sive: "Noli Offendere Patriam Agathae, Quia Ultrix Iniuriarum Est".



La ministra dello Sport Giovanna Melandri in primis ma anche il ministro dell'Interno Amato, e poi Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini presenti ai funerali di Filippo Raciti svoltisi il giorno della festa di sant'Agata, nel Duomo di Sant'Agata, nella città di Catania di cui sant'Agata è la santa patrona, hanno lamentato che monsignor Paolo Romeo (neo arcivescovo di Palermo) nell'omelia non si sia limitato a tessere l'elogio funebre del defunto "servitore dello Stato" ma abbia -per così dire- "osato" parlato "anche" di Sant'Agata invocandone l'intercessione contro i mali della città!

E'evidente che alla Melandri e agli altri politici il nominare Sant'Agata durante "quel" funerale è parso inappropriato; una vera e propia caduta di stile. Forse addirittura una provocazione?

Federico Schillaci, poliziotto e sindacalista, ha dichiarato: «Capiamo le ragioni della Chiesa e di Sant’Agata, ma ci dispiace molto che non sia stata espressa una denuncia sociale forte, mentre più di una parola è stata spesa per ricordare la Patrona di Catania».

Parrebbe quasi che sant'Agata sia stata una fiancheggiatrice degli ultras del Catania Calcio; l'ideologa che ha fomentato la violenza; la "capobastone" che stava in chiesa ad assistere ai funerali protetta dalla cultura dell'omertà di chi sa della sua collusioni con l'antistato ma non ha il coraggio di "pentirsi" e denunziarla all'antimafia.

Sembra quasi che sant'Agata sia la "capomafia", la "mammasantissima" che sprezzante s'è gingillata per le piazze di Catania; incurante del cordoglio della signora Grasso vedova Raciti; quasi a lanciare il guanto di sfida alle Istituzioni e alle forze dell'ordine, facendosi scudo col suo codazzo di migliaia di "fedelissimi" malavitosi affiliati alla sua cosca catanese!

"Percorrevo le strade di Catania e mi sembrava assurdo - racconta la vedova Marisa Grasso - una follia che mentre la guerriglia si scatenava ancora toccando perfino il viale Mario Rapisardi all'angolo con via Fava, i catanesi gustassero torrone, olivette e roba simile nelle bancarelle parate a festa.
Mi sarebbe sembrato giusto che la santa patrona di Catania restasse in cattedrale e i catanesi andassero solo in chiesa per pregare davanti la statua in un momento veramente funesto per la città. Non solo niente fuochi d'artificio, bisognava smontare anche le bancarelle, niente baldoria e roba simile. Lo sa che mentre tantissimi catanesi venivano a rendere omaggio alla salma di mio marito alle spalle della caserma si festeggiava e la processione andava avanti tra schiamazzi e vendite di palloncini? Ha fatto bene Pippo Baudo a chiedere la sospensione della festa, l' ho apprezzato."


Dunque, appare chiaro il perchè si accusino di insensibilità le gerarchie cattoliche che perseverano nell' additare sant'Agata quale "fulgido esempio" ai "cittadini-devoti-tutti".
Coloro che si considerano la parte sana della società, coloro che sono con lo Stato "senza se e senza ma", non considerano sant'Agata una figura super partes e al di sopra di ogni sospetto ma, al contrario, la considerano un personaggio "equivoco" e irremediabilmente colluso col degrado sociale e la malavita locale.

In questo assurdo transfert (o per meglio dire in questo transfert che potrebbe sembrare assurdo ma non lo è se si considera che da quasi diciotto secoli Agata è l'icona, e quasi la personificazione di Catania stessa) ecco che chi vuol agire contro la malavita di Catania, vuol perciò in qualunque modo punire "fisicamente" sant'Agata stessa, cioè vessare il suo argenteo busto reliquiario.

Non mi stupirei se a breve qualcuno proponesse di risarcire la vedova e gli orfani Raciti, nonchè ristutturare a norma di legge lo stadio comunale Cibali, strappando un pò di diamanti, rubini e smerali che adornano il busto della "santuzza"! O per meglio dire, si dichiarasse che Sant'Agata, se è davvero una "buona cristiana" come và millantando da diciotto secoli, deve avere lo scrupolo di ritenersi moralmente colpevole per l'accaduto e perciò è tenuta, se non a pagare penalmente, in sede Civile almeno a risarcire le vittime: "Un busto in Pretura", prossimamente su Tele Etna.

martedì, febbraio 06, 2007

Agata guarda, stupisci! /2



Ovvero: Stralcio di un articolo di Ottavio Cappellani, scrittore, catanese, alle prese con una città indicibile, un luogo dove si precisa che mai un poliziotto fu ucciso per motivi futili. Tutti dispiaciuti perché Sant’Agata è stata costretta a “purificarsi”.
[ Il Foglio di martedì 6 febbraio 2006]

«...in una città che si stende dalla cima innevata dell’Etna alle strisce di coca preparate direttamente sui tetti delle macchine parcheggiate durante la processione per Sant’Agata.
In una città che si è svegliata all’improvviso indignata e vergognata, attonita e stupefatta, sorpresa e dignitosa, meditabonda e decisa, colpita e offesa, come se avesse scoperto soltanto ora.
Quanto segue è soltanto una maniera, breve, di raccontare una città estrema, nel bene e nel male, contraddicendo chi sostiene che il fattaccio è accaduto a Catania, ma poteva accadere anche, per dire, ad Ascoli. La questione non è “dove poteva accadere”, bensì “dove era molto probabile che accadesse”. La risposta è: Catania. Come d’altronde sosteneva un recente rapporto dell’intelligence.
Catania resta un osservatorio privilegiato: prendete il resto come la cronaca di un delirio, forse soltanto il mio.

Per descrivere la città, partiamo dal “dibattito”.
La Sicilia, praticamente l’unico quotidiano letto sotto l’Etna, strumento utilissimo per capirne l’anima, domenica scriveva nell’editoriale in prima pagina (firmato: La Sicilia) – dopo avere dichiarato che Catania è piena di persone per bene e che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio – che la colpa è anche “di quegli intellettuali che con snobismo sono pronti a pontificare”...

Tra i “botti”, i palloncini colorati, lo zucchero filato, il torrone, i “sacchi bianchi”, i cappellini, e la sfilata della “carrozza del senato”, seguita da “autorità”, con l’applausometro in cui la città si chiede con il fiato sospeso se hanno applaudito di più Scapagnini o Bianco (sfilata quest’anno sospesa), è in atto un continuo tira e molla tra i vertici della chiesa e i cittadini fedeli-tutti sulla velocità che deve mantenere la Santa affrontando la salita (l’acchianata) di via di San Giuliano. Manco fosse, per dire, la Ferrari. Tre anni fa la Santa andava troppo veloce, non fece in tempo a frenare, e investì, uccidendolo, Paolo Calì, ventidue anni.

Nell’editoriale di ieri, sempre La Sicilia, scrive: “Anche l’altra festa, quella della città per la sua Santa, s’è dovuta purificare – niente fronzoli, niente spari o luminarie, niente candelore. Niente che assomigli a un festival”.

Non stiamo parlando di un giornalista stanco a cui è scappata la mano, in quelle parole sta lo zeitgeist (e pure la weltanschauung) di Catania: una città dispiaciuta perché la festa religiosa è stata costretta a “purificarsi” (questa è la “logica” catanese), e perché sempre di meno la celebrazione della Patrona assomiglia a un “festival”. Nella mente del catanese il Catania Calcio in seria A, Sant’Agata per le strade del centro storico, e Pippo Baudo a Sanremo si confondono e uniscono in una gioia panica.
Non è un paradosso o una provocazione.

Il giorno dopo gli scontri e l’omicidio, nella piazza antistante il Cibali, si è svolto regolarmente il “mercatino del sabato”: mentre ancora si cercavano le prove, tentando di ricostruire l’accaduto, qualche migliaio di persone comprava mutande passeggiando sulla scena del delitto. Hanno parlato di “incomprensione tra gli organi inquirenti e il comune”, dal mio fruttivendolo dicevano che se non gli facevano fare il mercatino, la bomba carta, a Scapagnini, gliela mettevano direttamente nel beverone antiaging.
Sarà che c’ho un fruttivendolo frequentato da intellettuali.

Posso testimoniare di una ragazza che, il giorno dopo l’omicidio, la mattina era indignata perché il suo ragazzo aveva preso una storta alla caviglia e ce l’aveva con le forze dell’ordine che non rispettano i tifosi, venti minuti dopo sosteneva che il calcio deve essere una festa, nel primo pomeriggio è andata dal parrucchiere, e al tramonto era al Cibali per depositare un mazzo di fiori guardandosi attorno per vedere se c’erano telecamere.
Probabilmente la retorica l’ha convinta a cambiare idea.

Ieri, a Librino, tra una mazza da baseball sulla quale era impresso lo stemma del Catania Calcio, le pasticche di ecstasy, un paio di fucili a pompa, è stata sequestrata anche una spada stile “Kill Bill”: si comprano a via Pacini, nel negozio d’armi vicino alla pagoda laccata di rosso del ristorante cinese, e di fronte alla coltelleria nella quale è appena arrivata l’ultima novità, “il centesimo”, un coltello lungo e sottile, del diametro di una moneta da un cent.

In questo scenario si muovono le forze dell’ordine, sdilliriando contro il governo Prodi, e contro quelli che imputano qualunque cosa alla mafia, mentre qui è esploso tutto e i cittadini per bene si ritrovano a volte inginocchiati davanti a Sant’Agata pregando: “Santuzza, ridacci la mafia, quella di una volta, quella vera”, perché si dice che “una volta”, se un picciotto ammazzava un poliziotto per motivi “futili”, la mafia te lo accompagnava a pedate fino in questura, se non te lo faceva direttamente trovare bruciato tra la pietra lavica.»

lunedì, febbraio 05, 2007

Agata guarda, stupisci!



« Il problema non è il calcio.
Catania-Palermo si è giocata ieri, venerdì [2 febbraio, ndr], per motivi di ordine pubblico, visto che da oggi [3 febbraio, ndr]inizieranno in città i festeggiamenti in onore della patrona della città, S. Agata.
Motivi di ordine pubblico. Cosa c'entrano le due cose? Nulla.
Cosa c'entra l'ordine pubblico? Nulla.
In realtà, la minaccia all'ordine pubblico sarebbe sopravvenuta nel momento in cui gli sfegatati tifosi catanesi avrebbero dovuto scegliere tra la partita e le celebrazioni. In un posto normale, un credente non impiegherebbe più di quattro secondi a decidere se andare in Chiesa o allo stadio.
A Catania, no. A Catania la fede nei confronti di S. Agata e quella nei confronti del Catania Calcio sono due cose esattamente identiche, paritarie, uguali, vissute sullo stesso piano al punto di mescolarsi tra loro. Al punto da rendere lo scenario quasi comico: all'inizio della partita in cosa è consistita la coreografia della curva sud dei tifosi catanesi? In uno striscione enorme srotolato lungo l'intera curva raffigurante proprio lei, S. Agata. Allo stadio, nel derby. Cosa c'entra? Niente, direte voi. A Catania, c'entra.»

venerdì, febbraio 02, 2007

...entre todas las Mujeres! [12]

Ovvero:"Ed anche a te una spada trapasserà l'anima,
affinchè siano svelati i segreti di molti cuori"