giovedì, ottobre 02, 2008

CASTRUM DOLORIS, XV

Ovvero: "Più che in ogni altra occasione, abbiamo avuto l'opportunità di sperimentare la grande compassione e la grande generosità di questo papa durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando sembrava non ci fosse per noi più alcuna speranza".
(rav Elio Toaff, in morte di Pio XII, ottobre 1958)


In un suo scritto dato alle stampe nel 1973, il celeberrimo vaticanista Carlo Falconi manifestava tutto il proprio cruccio per il fatto che una Stampa sempre pronta a gridare al sensazionalismo, nonché ormai disgraziatamente avvezza ad amplificare ad arte qualsiasi pettegolezzo ecclesiastico, non avesse invece giudicata degna di alcun interesse la rivelazione del fatto che papa Pio XII nel 1940 aveva comunicato al Governo Britannico, per mezzo di sir Francis D'Arcy Osborne (diplomatico inglese presso il Vaticano), il piano tedesco di attaccare la linea Maginot.
Papa Pacelli, quindi, nonostante le pubbliche dichiarazione di neutralità -in quanto padre spirituale che ama in egual modo tutti i suoi figli sull'uno e sull'altro fronte- in realtà poi, segretamente aveva parteggiato per uno dei due fronti, inviando al fronte alleato notizie riservate sui piani di guerra dell'esercito nazista!
Ma ecco che qualunque rivelazione di qualsivoglia atto della Santa Sede e di Papa Pacelli in persona non si adegui al canovaccio di un Pio XII e di una Chiesa cattolica connivente col Nazismo ma che, invece, possa essere interpretato più o meno quale sintomo di un -seppur blando- antinazismo viene lasciato cadere, scivola insignificante, cade negletto, privo di peso.

Le critiche velate durante gli anni cinquanta, quando egli era "gloriosamente" regnante, dopo la sua dipartita divennero -fuori e dentro la Chiesa cattolica- accuse esplicite e pubbliche: un "papa politico" che nel procedere delle barbarie della seconda Guerra mondiale si sarebbe limitato a rammentare ai belligeranti i doveri e le regole della diplomazia anteponendoli alla proclamazione dei superiori diritti umani ed anteponendo la politica ai principi evangelici: in una parola il famigerato "silenzio".
"Il silenzio di Pio XII" divenne addirittura proverbiale e divenne il titolo di un saggio storico del 1965 che a vent'anni anni dalla fine della guerra mondiale proprio Carlo Falconi dedicava all'analisi della politica vaticana durante i cinque anni di guerra, nonché, più in generale al contegno delle gerarchie ecclesiastiche nell'Europa occupata dai nazisti.

Pur giudicando irritanti le pubbliche difese a spada tratta dell'operato di Pio XII che, al principio del proprio pontificato -tra l'altro anche nel suo viaggio a Gerusalemme- fece Paolo VI (l'antico collaboratore di Pacelli in Segreteria di Stato), e seppur definisca demagogico il contemporaneo varo dei processi di beatificazione di due pontefici tanto diversi come Pacelli e Roncalli, Carlo Falconi -bontà sua!- nel 1973 sosterrà che:
"Prima o poi l'implacabile accanirsi del destino contro questa discutibilissima, ma in ogni caso imponente, personalità [...] finirà, come sempre accade dopo ogni eccesso, per far trionfare la giustizia.
Ho scritto nel mio Silenzio di Pio XII che, se lo storico non può non essere categorico nel condannare la responsabilità oggettiva del Pacelli, altrettanto categorico deve essere nel non attribuirgli una responsabilità soggettiva, perché la decisione di tacere fu da lui presa in coscienza dopo drammatiche lotte interiori: e sono tutt'ora di questo parere.

Pio XII non fu un pavido o una "creatura pusillanime" [...]. E basterebbe a dimostrarlo anche solo l'informazione fornita a sir Osborne il 6 maggio 1940, ma comunicata contemporaneamente anche ai governi dell'Olanda e del Belgio. Ben difficilmente infatti la resistenza di questi ultimi due Paesi avrebbe potuta far argine al dilagare delle colonne corazzate della Wermarcht e, se i loro archivi del ministero degli esteri e di quello della guerra, o anche solo qualche loro addetto, fossero caduti in mano agli occupanti, il segreto sarebbe stato irrimediabilmente svelato. In tal caso, non è davvero arduo immaginare quali ne sarebbero state le conseguenze personali per il papa e per la Santa Sede.

L'atteggiamento di Pio XII nei riguardi della Polonia invasa sette mesi prima era stato di un'estrema cautela e i gerarchi nazisti non potevano che esserne soddisfatti. Ma già nell'incontro dei ministri degli esteri italiano e tedesco nell'aprile 1941 a Firenze, il governo tedesco aveva chiesto a quello italiano di fare in modo che il papa lasciasse Roma "perché nella nuova Europa non dovrebbe esservi posto per il papato". Ciò perlomeno, era stato riferito al papa il 25 aprile e monsignor Tardini, Segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, lo aveva registrato in un suo pro-memoria del 6 maggio. Un piano del genere può certo spiegarsi anche soltanto come un ovvio corollario dell'ideologia nazista, ma soltanto con essa o non piuttosto con ragioni più immediate e più gravi di carattere apertamente vendicativo?
E' accertato, infatti, che nel 1943 dopo che Roma era stata occupata dai tedeschi, reparti speciali dovevano attendere l'ora X per metter le mani anche sul Vaticano e soprattutto sulla persona del papa (l'ordine era stato dato personalmente da Hitler al generale delle S.S. Karl Wolf il 13 settembre alla presenza di Bormann)".

Gli anni settanta, specialmente in quell'Italia in cui scrive Falconi, sono gli anni in cui il gergo dell'ideologia marxista ha conquistato l'intellighenzia "borghese" dell'Occidente laico ma anche il nuovo clero post-conciliare, perciò, continua il Nostro:
"Il mancato apprezzamento per questo coraggio di Pio XII stupisce però soprattutto in un tempo come l'attuale nel quale la parola "rivoluzione" è declinata in tutti i modi possibili e immaginabili e i mezzi per sostenerla e i pretesti per legittimarla come parola d'ordine sono ricercati ovunque e non di rado con più gratuita tenacia. Un papa che parteggia con l'aggredito contro l'aggressore con rischio personale e per la sua Chiesa non è davvero un fatto di tutti i giorni.
Ma c'è un episodio molto più audace, che rende quasi scandalosa l'ingiustizia del misconoscimento del coraggio di Pio XII soprattutto in un momento come l'attuale. Quello che fu rivelato per la prima volta dal suo segretario particolare, il gesuita Robert Leiber, un mese dopo la sua morte, nel profilo che questi gli dedicò sulla rivista "Stimmen der Zeit". Con appena una decina di parole, padre Leiber affermò che nella primavera del 1940 Pio XII diede il suo appoggio nientemeno che ad un complotto di alti ufficiali tedeschi che miravano alla deposizione di Hitler.
Pio XII cospiratore, Pio XII guerrigliero, ecco davvero un papa Pacelli totalmente inedito.

Gli storici possono anche rimanere abbastanza indifferenti. Di papi congiuranti e trafficanti con pugnali e veleni non scarseggia certo la storia dei vicari di Cristo in terra. I secoli bui della fine del primo millennio e quelli d'oro del Rinascimento ne offrono addirittura delle serie. Ma dopo di allora lo stile dei papi mutò notevolmente. L'ultimo esemplare di una notevole spregiudicatezza è forse Gregorio XIII [...].
Ebbene, Gregorio XIII approvò vari tentativi di assassinio di Elisabetta d'Inghilterra facendoli ampiamente giustificare dal suo segretario di Stato. Anche se non li promosse o non li appoggiò in modo concreto, con finanziamenti o altro [...] comunque dopo quattro secoli di una tradizione del genere è naturale che i non addetti al lavoro ignorino o conoscano in modo estremamente vago questi non gloriosi trascorsi del papato. Ma proprio per questo dovrebbero ancor più reagire con un autentico soprassalto di fronte alla rivelazione di Pio XII congiurato contro Hitler.

In parte almeno la colpa di ciò va attribuita a una relativa mancanza di particolari, soprattutto di colore, capaci di dare una carica adeguata al fatto. [...] il personaggio che fece da trait d'union tra il gruppo degli ufficiali tedeschi e padre Leiber: Joseph Müller, ufficialmente agente del servizio militare di spionaggio del Reich, ma nello stesso tempo principale emissario dei nuclei della resistenza militare anti-hitleriana. Cattolico di professione avvocato nella vita civile, egli era stato amico del Pacelli quando questi aveva ricoperto in Germania la carica di nunzio apostolico. Per anni durante la guerra riuscì ad informare il papa sulla situazione interna tedesca, specialmente su eventi di carattere militare (fu lui tra l'alto che lo preavvisò dell'imminente attacco alla Maginot) senza naturalmente entrare in contatto diretto con lui anche solo una volta. Suo unico tramite fu invece costantemente padre Leiber. Per mezzo suo Müller comunicò a Pio XII la richiesta dello status di governo alternativo a favore dei congiurati, richiesta che doveva essere trasmessa a Londra. Ovviamente i congiurati avevano bisogno di tale riconoscimento per il momento in cui, eliminato Hitler, avrebbero conquistato il potere.

Esiste un minuzioso rapporto di Osborne, datato del 7 febbraio 1940, relativo ai suoi contatti in proposito con il Vaticano. Vi si apprende tra l'altro che Osborne ebbe allora tre incontri personali con monsignor Ludwig Kaas, ex capo del Zentrum, il disciolto partito cattolico tedesco, ritiratosi a Roma sin dal 1933, dove funse da consigliere di Pio XII per i problemi tedeschi. Ma soprattutto vi si legge riferita tra virgolette, la parte centrale delle parole pronunciate dal papa: "Una parte dell'esercito tedesco è disposta a un cambiamento di governo che la liberi da Hitler: il quale si vanta che sarà al Louvre quest'estate...". L'eventuale governo anti-hitleriano sarebbe stato, secondo il papa, "una dittatura militare, ma temporanea, destinata poi a venir rimpiazzata da un governo democratico, moderato, decentrato e federale".
"Ci manca", aggiungeva il pontefice,"ogni garanzia sulla cui base stabilire se un governo tedesco del genere sarebbe più meritevole di fiducia o anche solo meno aggressivo di quello attuale". Ma "la mia coscienza non mi permette di ignorarlo: vi fosse anche solo una possibilità su un milione, non indietreggerei di fronte a nessuna soluzione che servisse allo scopo di risparmiare delle vite umane".
Anche in base alla mancanza di garanzie a cui accennava prudentemente Pio XII, gli alleati negarono il richiesto riconoscimento perché non si fidavano dei "nuovi capi", ritenendoli esponenti delusi della casta militare tedesca, preoccupati più che altro di perdere prestigio con la sconfitta.
Ma il fatto del passo pontificio rimane. E non perde nulla del suo peso e del suo significato, specialmente in vista delle conseguenze che poteva procurare a papa Pacelli se Hitler ne fosse venuto a conoscenza.
Non c'è molto da esitare, infatti, per catalogare una collaborazione del genere. Morale o materiale che fosse l'appoggio fornito dal papa, questo appoggio costituiva, sotto il profilo giuridico, un reato internazionale, traducendosi nell'appoggio dato da un capo di Stato a un complotto tendente alla eliminazione di un'altro capo di Stato col quale il primo non solo non era in stato di belligeranza, ma neppure aveva interrotto le relazioni diplomatiche e gli speciali rapporti concordatari.
[...]
Ebbene, se nonostante queste allarmanti previsioni e , si può aggiungere, nonostante i dubbi che egli stesso nutriva verso i promotori dell'impresa (dubbi che costituivano un'altra remora ad abbracciarla), egli ritenne di dover dare il proprio appoggio a i cospiratori, nessuno può negare l'impressionante temerarietà del suo gesto.
Certo si rimane perplessi, confrontando questo suo comportamento con quello posteriore dinanzi al dilemma se denunciare o no all'opinione pubblica mondiale, dopo aver esaurito ogni altro tentativo in privato, i crimini commessi o lasciati commettere dai nazisti durante il conflitto contro minoranze indifese e per lo più innocenti. Sembra impossibile infatti che lo stesso uomo abbia prima potuto mostrare tanto coraggio e poi almeno in apparenza, altrettanto debole."
(C. Falconi; Ritrattazioni;1973)

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