Ovvero, amplio stralcio dell' articolo -nell'edizione del 17 Ottobre 2008 dell'Osservatore Romano- nel quale la storiografa Barbara Frale avanza la suggestiva ipotesi:
"Sant'Ignazio di Antiochia. Un Papa in incognito?"
"Sulla fine d'estate dell'anno 107 dell'era cristiana giungeva a Roma da Brindisi uno strano convoglio. Aveva risalito la penisola italiana lungo la via Appia, ma il viaggio era cominciato alcune settimane prima molto più lontano, a Oriente, nella grande metropoli di Antiochia in Siria (oggi in Turchia). Dieci guardie scelte erano state mobilitate dall'imperatore Traiano per sorvegliare e impedire la fuga di un uomo solo, un vecchio vicino agli ottant'anni in un'epoca in cui la vecchiaia cominciava a sessanta. Il vecchio si chiamava Ignazio ma curiosamente usava presentarsi con un secondo nome, Teoforo (in greco "portatore di Dio"), che era piuttosto un soprannome.
[...]
In Antiochia il giovane Ignazio conobbe di persona san Pietro ed entrò nella sua cerchia; più tardi Pietro lo scelse come suo successore prima di lasciare la città.
Fino a questo punto la vicenda di Ignazio non è molto diversa da quella di altri personaggi che furono tra i seguaci di Gesù Nazareno della seconda generazione; ma il prosieguo della storia ha caratteri davvero unici.
In un anno che molti storici credono essere il 107, l'imperatore Traiano condanna a morte l'anziano vescovo con una delle forme di supplizio più crudeli: ad bestias, essere sbranato dalle belve nell'anfiteatro.
Dieci guardie hanno il compito di recarsi nella metropoli di Siria, arrestare il vecchio e trasferirlo addirittura fino a Roma, luogo prescelto per l'esecuzione pubblica: un viaggio di settimane che avrebbe praticamente attraversato il Mediterraneo.
Legato a questi soldati che egli chiama "leopardi", Ignazio parte da Antiochia e arriva a Smirne, dove riceve il vescovo Policarpo: qui scrive tre lettere pastorali dirette rispettivamente alle Chiese delle città di Efeso, di Magnesia sul Meandro e di Tralli, e le consegna personalmente nelle mani dei loro vescovi Onesimo, Dama e Polibio che sono venuti fino a Smirne con una delegazione dei fedeli locali per salutarlo e rendergli omaggio.
Poi scrive ai cristiani di Roma: alcuni membri di quella Chiesa, persone influenti che possono accedere alla cerchia dell'imperatore, vogliono cercare di salvargli la vita; però Ignazio li frena: non è il caso di esporsi a rischi gravissimi per evitare la morte di un uomo molto vecchio, destinato comunque a morire in breve; inoltre egli crede che il suo martirio stia giungendo in un momento molto propizio, e gli darà occasione di consolidare con il suo gesto la comunità dei cristiani che vive un momento di confusione.
Si definisce "frumento di Dio": infatti Dio lo sta usando per alimentare la fede di tutti gli altri.
Partiti da Smirne, Ignazio e i suoi guardiani arrivano a Troade: qui il vecchio scrive e spedisce altre tre lettere alla Chiesa di Filadelfia, a quella di Smirne che ha appena lasciato e un'altra a Policarpo, per comunicargli che lo ha eletto vescovo della sua Antiochia.
Da Troade Ignazio è condotto via mare fino a Neapolis, nella regione della Macedonia, poi a Filippi, e da qui il convoglio risale l'antica via Egnatia fino al porto di Durazzo (o di Apollonia). Laggiù si imbarcano fino a Brindisi, poi sbarcati in Puglia risalgono via terra fino a Roma.
Secondo la tradizione il supplizio avvenne il 17 ottobre.
Il contenuto della vicenda, che gli autori antichi non hanno mai messo in discussione, sotto il profilo storico è quanto mai eccezionale. Innanzitutto non si capisce come mai l'imperatore Traiano, sotto il regno del quale ci fu un'ondata violentissima di persecuzioni contro i cristiani, si dette la pena di inviare fino alla remota Antiochia di Siria un drappello di soldati al puro scopo di scortare fino a Roma questo vecchio, che poteva benissimo essere giustiziato laggiù.
La vicenda è un vero unicum nella storia del cristianesimo antico; infatti conserviamo un solo caso del genere: quello del fariseo convertito Saulo di Tarso, più noto con il soprannome di Paolo, che dalla Palestina fu tradotto fino a Roma per subire la pena capitale. San Paolo però ebbe questo singolare "privilegio" perché aveva la cittadinanza romana [...]. Si era appellato a Roma, ne aveva legalmente il diritto e fu trasferito nella capitale.
Il caso di Ignazio è completamente diverso: lui non possiede la cittadinanza romana, altrimenti avrebbe avuto diritto a subire la decapitazione, che era un supplizio più decoroso, rapido e molto meno atroce.
I motivi di questa singolarissima scelta vanno cercati altrove.
Anche il numero delle guardie che lo sorvegliano è veramente alto: dieci soldati sono davvero troppi per impedire la fuga a un povero vecchio. Il modo con cui li soprannomina, cioè "leopardi" potrebbe essere una spia interessante: infatti la pelle di leopardo era usata dai soldati dell'esercito romano che appartenevano a un'unità speciale: i signiferi, coloro che avevano il sommo onore di portare in guerra le insegne militari. Erano coperti sin dalla testa dalla pelle di un animale potente e feroce, che aveva un significato simbolico e dava loro un aspetto impressionante. I rappresentanti delle legioni usavano generalmente pelli di lupo e d'orso, mentre i grandi predatori felini come il leone e il leopardo erano prerogativa dei pretoriani, membri della temibile, potentissima guardia personale dell'imperatore.
Se davvero Traiano mandò laggiù anche solo uno di questi soldati (figuriamoci dieci!), allora decisamente Ignazio non era un uomo qualunque, bensì un sorvegliato speciale sotto il potere personale dell'imperatore: il che spiega bene l'eccezionalità assoluta del suo caso.
Forse questo strano viaggio verso il martirio possedeva un volto istituzionale che dobbiamo riscoprire completamente: infatti il contenuto delle lettere di Ignazio presenta degli aspetti che sembrano confermare questo sospetto.
Il vecchio riceve delegazioni delle Chiese locali che sono venute per onorarlo e avere istruzioni da lui. Nomina vescovi, scrive encicliche: nella lettera a Policarpo dice espressamente che aveva intenzione di scrivere a tutte le Chiese ma non ha fatto in tempo perché i soldati l'hanno costretto a imbarcarsi all'improvviso.
Ignazio ha preoccupazioni ecumeniche che trascendono i compiti e le responsabilità di un semplice vescovo locale. Si rivolge a una comunità di fedeli che chiama Chiesa cattolica, cioè "universale", ed è il primo a coniare questa denominazione. Esorta tutti a mantenersi uniti e obbedienti nella fede e soprattutto a tenersi lontani dall'eresia degli gnostici, i quali vanno diffondendo un'idea di Gesù diversa da quella di Pietro e dei vangeli.
Circa la figura di Gesù Cristo, Ignazio esprime una posizione netta su questioni teologiche fondamentali come la sua nascita a opera dello Spirito Santo e la sua divinità. Alcune espressioni che usa sono sorprendenti e anticipano di secoli gli sviluppi futuri della teologia: per esempio di Cristo dice "procedendo dal Padre", e con ciò intende che Gesù non fu creato bensì generato da Dio, un'idea che precede di due secoli il "generato, non creato" sancito nel Credo del concilio di Nicea dell'anno 325.
Infine afferma che la Chiesa di Roma ha un primato spirituale su tutte le altre, fatto decisamente molto strano visto che a quel tempo le Chiese di Gerusalemme, Alessandria e Antiochia (la sua Antiochia) possedevano una dignità pari alla sede romana. Insomma, quest'uomo si comporta proprio come se fosse un Papa (diremmo oggi). Anche le Chiese che lo vengono a omaggiare si aspettano da lui consiglio e direttive spirituali.
L'idea che Ignazio fosse ben più che un vescovo al pari di altri, che cioè avesse un ruolo guida nella Chiesa del tempo, spiegherebbe pienamente il suo stranissimo destino.
Se davvero quest'uomo fu per un certo tempo il capo dei cristiani, allora si capisce perché Traiano volle prendersi la briga di farlo viaggiare per metterlo a morte fino a Roma: la sua esecuzione doveva essere eclatante e spettacolare, doveva essere un monito per tutti. L'imperatore poteva raggiungere chiunque, e decapitare quella setta togliendone di mezzo il capo in qualunque angolo dell'impero si trovasse nascosto.
Il periodo in cui avvenne il supplizio di Ignazio è anche uno di quelli per cui sappiamo meno in assoluto sulla società cristiana e sulla successione apostolica.
Il primo catalogo dei vescovi di Roma sembra fosse scritto dallo storico Egesippo nell'anno 160, dunque decenni dopo i fatti narrati, e in ogni caso le prime attestazioni concrete che possediamo risalgono solo all'anno 354 (il cosiddetto Catalogo Liberiano) o addirittura al vi secolo (la lista dei Papi contenuta nel Liber Pontificalis).
Sappiamo che la successione apostolica avveniva nei primi tempi in maniera diretta, per scelta personale: Pietro nominò Lino come suo successore, e Lino pare nominasse Cleto (o secondo altri autori antichi un certo Anacleto). Poi venne Clemente Romano, il quale continuò la lotta di Pietro contro l'eresia gnostica scrivendo una famosa lettera alla Chiesa di Corinto: è lo stesso tipo di impegno nel quale si adopererà anche Ignazio di Antiochia, che dunque prosegue la tradizione pastorale di Pietro e di san Clemente.
Clemente morì nell'anno 97, esiliato in Oriente e, secondo la tradizione, gettato in mare con al collo una pesante ancora. Gli successe Evaristo, riguardo al quale sappiamo davvero poco: secondo lo storico Eusebio di Cesarea, vissuto sotto Costantino, il pontificato di questo Papa era avvenuto fra l'anno 99 e il 108 ed era durato otto o nove anni. La durata dei nove anni è confermata anche dal Liber Pontificalis, ma se questo periodo si aggiunge alla morte di Clemente (avvenuta nel 97) si arriva appena all'anno 106, ovvero un anno prima della morte di Ignazio.
Il livello di informazione che le fonti antiche presentano non ci permette di essere più precisi, però salta subito all'occhio che un pontificato molto breve (di un anno se non addirittura mesi) poteva sfuggire benissimo a chi molti decenni più tardi dovette raccogliere le tradizioni per compilare le prime liste dei Papi. E questo in special modo se per qualche motivo, dinanzi a una situazione del tutto anomala, il Papa in quei mesi non aveva abitato in Roma.
Di fatto non sappiamo nulla circa la fine di Evaristo, anche se è estremamente probabile che morisse martire dato il tenore dei tempi. La sua scomparsa nel nulla fa pensare che fu eliminato dalle autorità romane in maniera diversa da un'esecuzione ufficiale, di quelle che lasciavano una traccia forte nella memoria collettiva, come nel caso di altri vescovi o santi.
Se davvero Evaristo un giorno "sparì" dalla circolazione senza aver avuto il tempo di nominare un successore, la Chiesa di Roma si trovò in grave difficoltà perché la successione apostolica rischiava d'essere interrotta. Per evitarlo non c'era che un modo, cioè ricorrere a un uomo che fosse stato scelto da Pietro in persona: così la continuità si manteneva inalterata grazie (per così dire) a un ramo collaterale uscito dalla stessa radice.
Agli inizi del ii secolo l'anziano Ignazio, stando a quanto sappiamo, era l'ultimo vescovo ancora vivo ad aver ricevuto la consacrazione direttamente da Pietro; se così fu, la scelta era obbligata, e la città di Antiochia rappresentava un rifugio abbastanza sicuro trovandosi lontana da Roma.
Possiamo pensare a Ignazio di Antiochia come a un "Papa in incognito", una persona che guidò la comunità dei cristiani in maniera diversa dal solito in un frangente di particolare emergenza?
Quando si rivolge alla Chiesa di Roma, Ignazio non fa il nome di alcun vescovo, proprio come se in quel momento un Papa non ci fosse (oppure si trattasse di se stesso).
Anche il fatto di usare un nome in codice, cioè Teoforo, è qualcosa di unico e la dice lunga sul bisogno che aveva quest'uomo di proteggere la sua identità.
È difficile dire se Ignazio tenesse una specie di reggenza della Chiesa o avesse solo assunto la guida spirituale dei cristiani per ragioni di necessità; forse le due cose non si escludono, perché la Chiesa a quel tempo non aveva certo l'assetto istituzionale che assumerà poi. Lo studio più analitico delle fonti sta dando risposte interessanti e altre darà ancora.
Sta di fatto che nella tradizione cristiana la figura di Ignazio è stata sempre considerata in maniera speciale.
Nell'anno 861 san Cirillo trovò in un'isola della Grecia i resti di Papa Clemente; le ossa furono trasportate a Roma, e Papa Adriano II (867-872) volle che venissero sepolte vicino ai resti di sant'Ignazio di Antiochia. Forse perché i due famosi Padri della Chiesa erano stati anche "colleghi"?
Non lo sappiamo con certezza, però c'è una cosa su cui non abbiamo dubbi: al tempo di Papa Adriano II la Chiesa di Roma possedeva ancora tanti documenti antichi che oggi sono per noi irrimediabilmente perduti."
(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2008)
[Unica pecca - come suol dirsi in quei lidi: "unicuque suum"!- della giovane storica dell'Archivio Segreto Vaticano sta nel confondere la data in cui "secondo la tradizione" è avvenuto il martirio del Santo antiocheno con la commemorazione liturgica fissata dal (nuovo) Calendario Romano al 17 ottobre che invece deriva dalla commemorazione liturgica della traslazione delle reliquie nella basilica romana di San Clemente.
"Secondo la tradizione" egli morì sbranato dalle fiere il 20 dicembre dell'anno 107:
"Sant'Ignazio, Vescovo di Antiochia e Martire, il quale subì gloriosamente il martirio il 20 Dicembre nella persecuzione di Traiano, fu condannato alle fiere, e spedito legato a Roma, dove alla presenza del Senato, prima fu afflitto con crudelissimi supplizi, poi fu gettato in pasto ai leoni, da cui denti sbranato, divenne ostia di Cristo..."
"Il 17 dicembre la Traslazione di sant'Ignazio, Vescovo e Martire, il quale fu il terzo che, dopo il beato Pietro Apostolo, governò la chiesa di Antiochia. Il suo corpo da Roma fu trasportato ad Antiochia, ed ivi riposto nel cimitero della chiesa, fuori della porta Dafnitica; in quella occasione san Giovanni Crisostomo fece un discorso al popolo. In seguito le sue reliquie furono di nuovo trasportate a Roma, e con somma venerazione riposte nella chiesa di san Clemente, insieme al corpo del medesimo beatissimo Papa e Martire." Martirologio Romano,1956]
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