venerdì, aprile 10, 2009

Venerdì Santo [5]


Gesù disse: "Dove l'avete posto?". Gli risposero: "Signore, vieni a vedere". Gesù scoppio in pianto. Dissero allora i giudeo: "Vedi come lo amava".
(Gv. XI, 34-36)


Quando leggiamo queste parole, un interrogativo sorge spontaneo nel nostro spirito: perché il Signore pianse alla tomba di Lazzaro? Sapendo che aveva il potere di risuscitarlo, perché recitò la parte di quelli che fanno lutto per i morti?
[...]
Perché Gesù pianse per un morto che lui poteva risuscitare con una parola, e che già stava pensando di risuscitare?

Innanzitutto, come possiamo notare dal contesto, egli pianse per partecipare al dolore degli altri: Quando Gesù vide piangere Maria e i giudei che erano con lei, fremette nel suo spirito e si turbò. E' la caratteristica propria della compassione o della simpatia, come implica la parola stessa, di piangere con quelli che piangono e gioire con quelli che gioiscono.
Noi sappiamo che è così per gli uomini e Dio ci dice che egli pure è compassionevole e ricco di misericordia. E tuttavia non sappaiamo bene cosa significhi questo, perché come può Dio rallegrarsi e affliggersi? [...]
Dunque, noi non possiamo vedere la compassione di Dio.
Il Figlio di Dio, sebbene abbia per noi la stessa grande compassione del Padre non ce ne diede alcun segno durante il tempo in cui rimase nel seno del Padre. Ma quando si fece carne e apparve sulla terra, rivelò la divinità in un aspetto nuovo. Si rivestì di nuovi attributi, quelli della nostra umanità, assumendo un'anima e un corpo umani per poter fare suoi i pensieri e i sentimenti, gli affetti che corrispondono ai nostri per renderci certi della sua tenera misericordia.

Quando, dunque, il Salvatore pianse di compassione alle lacrime di Maria non dobbiamo dire che quello era solo l'amore di un uomo sopraffatto da un sentimento naturale. Era l'amore di Dio, il sentimento di compassione dell'Onnipotente ed Eterno che si degnò mostrarci quell'amore nella forma umana perché noi fossimo capaci di riceverlo.
Se Gesù pianse, non furono solo i pensieri profondi della sua intelligenza che provocarono al pianto, ma una tenerezza spontanea; furono la dolcezza misericordiosa, la premurosa bontà infinita, l'amore sconfinato del Figlio di Dio per la sua creatura, la stirpe dell'uomo.
Le lacrime degli uomini lo commossero immediatamente, come la loro miseria l'aveva fatto scendere dal cielo.
[...] Che cosa vide?
Egli vide, chiaramente manifestato il trionfo della morte, una folla in lutto, tutto quello che era atto a generale dolore ma non colui che era causa del dolore. Lazzaro non c'era più, una pietra chiudeva il luogo dove giaceva.
Marta e Maria, che il Signore aveva conosciuto e amato in compagnia del loro fratello, ormai sole si avvicinarono a lui, una dopo l'altra, in una circostanza e in uno stato d'animo ben diversi, in profonda afflizione ma con fede e rassegnazione; e pur tuttavia gli rivolsero un dolce rimprovero: Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto.

Questo è in ogni tempo il giudizio pronunciato, il dubbio sollevato verso di lui nel cuore di ogni creatura.
Gli uomini hanno visto il peccato, hanno visto la miseria intorno a loro, e nella fede o nell'incredulità hanno detto: Se tu fossi stato qui; se tu fossi intervenuto le cose sarebbero andate in modo differente.

Il Creatore era dunque là, circondato da quelli che erano opera delle sue mani, che indubbiamente lo adoravano ma che gli chiedevano perché permettesse che la sua stessa creatura venisse così sfigurata.
Il Creatore del mondo era là, dinnanzi a una scena di morte, e vedeva la fine di un'opera del suo amore. Forse egli tornò con il pensiero al momento della creazione quando uscì dal seno del Padre per chiamare all'esistenza tutte le cose.
C'era stato un giorno nel quale aveva contemplato l'opera del suo amore e aveva detto che ciò era molto buono; da che cosa era dipeso che il bene si fosse tramutato in male, e l'oro puro era divenuto opaco?
Un nemico ha fatto questo. Perché ciò fosse stato permesso e come fosse accaduto era un segreto; un segreto per quelli che quel giorno gli stavano attorno così come lo è per noi oggi.

Egli si rivolse al Padre celeste in un colloquio incomunicabile.
Non diede alcuna spiegazione e scelse un'altra via per dissipare i dubbi e il pianto. Non aprì la sua bocca, ma operò in modo meraviglioso.
Quello che ha fatto per tutti i credenti, rivelando la sua morte espiatrice, senza darne spiegazione, lo fece allora per Marta e per Maria quando si avvicinò in silenzio alla tomba per resuscitare il loro fratello, mentre esse si lamentavano che lo aveva lasciato morire. [...]


Ma c'erano, ahimè, altri pensieri atti a strappare le lacrime a Nostro Signore. Come avrebbe potuto egli compiere la meravigliosa opera nei confronti delle addolorate sorelle?
A costo del proprio sacrificio. [...]
I suoi discepoli avrebbero voluto dissuaderlo dall'andare in Giudea per timore che i giudei lo uccidessero; il loro infausto presentimento purtroppo si avverò. Gesù venne per resuscitare Lazzaro e la fama del miracolo fu la causa immediata del suo arresto e della sua crocifissione.
Questo egli lo sapeva in anticipo: vedeva ciò che l'aspettava. Lazzaro resuscitato; il banchetto in casa di Marta; Lazzaro seduto a tavola; una grande gioia intorno a lui; Maria che in quel giorno di letizia onorava il suo Signore con il costoso profumo che versava sui suoi piedi; i giudei che accorrevano in folla per vedere non solo lui ma anche Lazzaro; il suo ingresso trionfale in Gerusalemme; la folla che grida "Osanna"; il popolo che testimonia la risurrezione di Lazzaro; i greci venuti per il culto a Gerusalemme desiderosi di vederlo; i fanciulli che si univano alla gioia generale. Quindi i farisei che complottano contro di lui; Giuda che lo traduce; i suoi amici che lo abbandonano e la croce pronta per accoglierlo.
Tutto questo senza dubbio attraversò la sua mente tra i tanti altri pensieri inesprimibili.
Sentiva che Lazzaro si risvegliava alla vita a prezzo del suo stesso sacrificio; che egli sarebbe sceso nella tomba al posto di Lazzaro.
Sentiva che Lazzaro sarebbe tornato alla vita e lui sarebbe morto; lo stato delle cose doveva essere rovesciato; la festa che avrebbe avuto luogo in casa di Marta per lui sarebbe stata l'ultima e dolorosa Pasqua. E questo rovesciamento di cose, egli lo sapeva, era l'effetto della propria volontà.
Egli era disceso dal seno del Padre per espiare con il suo sangue i peccati del mondo, e quindi per resuscitare dalla tomba tutti i credenti, come ora stava per risuscitare Lazzaro. Li avrebbe resuscitati non per breve tempo, ma te tutta l'eternità. Intanto davanti a lui c'era la prova amara con la quale avrebbe aperto il cielo a tutti i credenti.

Abbracciando il proprio disegno in tutta pienezza, mentre stava per compiere l'opera della sua misericordia, disse a Marta: Io sono la Resurrezione e la Vita, chiunque crede in me anche se muore vivrà; e chiunque vive e crede in me non morrà in eterno.
Torniamo a questi confortanti pensieri quando meditiamo sulla nostra morte e sulla morte dei nostri amici.
Dove c'è la fede in Cristo, là c'à Cristo medesimo. Egli domanda a Marta: Credi tu questo?
Ovunque c'è un cuore per rispondere: Signore, io credo, là Cristo è presente. Là il Signore promentte di essere presente, anche se non visto, sul letto di morte o sulla tomba, sia se siamo noi a chiamarlo o i nostri cari. Sia benedetto il suo nome!

Niente ci potrà togliere questa consolazione: saremo certi, con la sua grazia, che egli si chinerà su di noi con amore, come se lo vedessimo. Non dubiteremo neppure per un istante, dopo aver fatto l'esperienza della storia di Lazzaro, che egli veglia su di noi.
E' consapevole fin dal principio del nostro male, sebbene si tenga a distanza. Sa quando deve rimanere a distanza e quando avvicinarsi; segue il progredire della malattia e le sue fasi. Può dire a colpo sicuro se il suo amico è malato o se dorme. Noi, che ne abbiamo fatto l'esperienza nel racconto ora esaminato, non ci lamenteremo mai del corso della sua Provvidenza.

Solamente, lo preghiamo affinché accresca la nostra fede, ci doni una percezione più della maledizione che incombe sul mondo; e dei nostri demeriti.
Una intelligenza più penetrante del mistero della sua croce; una fiducia più devota della potenza di questa croce. E una più fiduciosa convinzione che egli non ci darà mai un peso troppo pesante per le nostre spalle, che non infliggerà mai ai suoi fratelli un dolore che essi non sia per un loro bene più grande."


(John Henry NEWMAN ; Parochial and Plain Sermons, III)

1 commento:

Mefisto De Angelis ha detto...

Che allegria!