Sul Foglio del 2 Novembre qualcuno ha osato scrivere che:
Il nato da fecondazione in vitro in realtà è un sopravvissuto a mille, invasive, manipolazioni
La fecondazione artificiale, per comune ammissione, porta con sé circa l’85 per cento degli insuccessi, il 50 per cento di tagli cesarei, un’alta mortalità embrionale, il 22 per cento di aborti spontanei, il 5 per cento di gravidanze tubariche, il 27 per cento di gravidanze multiple (con relative morti o malformazioni), il 29 per cento di parti pre-termine, il 36 per cento di nati con basso peso, rischi di anomalie genetiche o malattie degenerative, oltre a una preoccupante mortalità e morbilità neonatale (Serra e Flamigni).
Decine di storie raccontate sui giornali testimoniano la verità di queste conclusioni, alle quali sarebbe possibile giungere con il semplice ragionamento, analizzando le tecniche della fecondazione in vitro (Fiv).
Anzitutto, i gameti femminili (oociti) sono prodotti in alto numero, non per via naturale, ma con iperstimolazione ovarica, utilizzando “una vasta gamma di farmaci” (Flamigni), in particolare ormoni. Ne consegue, oltre ai danni per la donna, che già il 40-50 per cento degli oociti così ottenuti abbiano il cariotipo (patrimonio cromosomico) alterato.
Il seme maschile non può essere usato così come è, e va quindi “purificato” (centrifugazioni). Gli oociti vengono poi (molto spesso) sottoposti a manipolazioni invasive che consentano allo spermatozoo di penetrare: Pdz (parziale dissezione della membrana pellucida dell’oocita, tramite laser o sostanze chimiche); Suzi (iniezione dello spermatozoo sotto la zona pellucida); Icsi (iniezione dello spermatozoo tramite siringa).
Cosa significa tutto ciò? Significa che le membrane dell’oocita avrebbero il compito, in natura, di selezionare, tra milioni, lo spermatozoo più vitale, migliore, più sano, facendo penetrare solo lui ed escludendo gli altri; invece con tali tecniche, essendo la mobilità e la sanità dello spermatozoo scarsa, se ne determina dall’esterno la penetrazione, ferendo la membrana ed eliminandone la funzione naturale di barriera. Con l’Icsi, inoltre, vi è un intervento ancora più intrusivo, perché uno spermatozoo a caso, non selezionato (non è possibile farlo), probabile portatore di anomalie cromosomiche, viene iniettato con un microago nell’ovulo, compiendo un’operazione traumatica di cui non si conoscono ancora gli effetti, eccetto i più intuibili: “Il rischio che i bambini siano sterili come il padre” (Testart); il rischio “di malattie degenerative riguardanti il sistema nervoso o i muscoli” (Flamigni).
Il “colloquio” ormonale con la madre
I gameti vengono poi deposti nella provetta, mezzo di coltura che ha il compito di riprodurre la tuba: il problema è che si tratta di una riproduzione tanto incerta da variare col variare dei medici e degli anni (Flamigni), accusata di “provocare un cambiamento nell’espressione dei geni”. Per questo molti embrioni coltivati in vitro muoiono precocemente. Nei mezzi di coltura inoltre “il metabolismo dell’embrione e il suo sviluppo risultano notevolmente rallentati” (Carbone).
Salta, infine, il cosiddetto “colloquio crociato”, il continuo scambio di messaggi ormonali con cui l’embrione e la mamma comunicano tra loro, e attraverso cui avviene la produzione da ambedue le parti di proteine necessarie al regolare sviluppo dell’embrione fino all’impianto. A questo punto gli embrioni sopravvissuti, se non necessitano di un’ulteriore manipolazione (con annesse controindicazioni) che faciliti l’annidamento, possono essere impiantati in utero (avendo saltato il naturale passaggio in tuba). Occorre però più di un embrione, per avere qualche possibilità di successo. Perché? Lo abbiamo visto: oociti con cariotipo alterato, seme maschile non selezionato dalla natura, manipolazioni invasive, colloquio crociato assente, mucosa dell’endometrio uterino che non ha potuto svilupparsi in sincronia con l’embrione, metabolismo rallentato…
Sintetizzando: la “ridotta vitalità dell’embrione e la scarsa recettività dell’utero” (Carbone) determineranno, spesso, il non attecchimento, aborti spontanei, mortalità perinatale e neonatale, sviluppo anomalo. Nel 15 per cento circa dei casi nascerà un bambino, quasi un “sopravvissuto”: con quali conseguenze fisiche e psicologiche? Alle difficoltà elencate, si aggiungano una serie di variabili, quali gli eventuali errori del medico nel dosaggio degli ormoni, nel tempo scelto per il prelievo degli ovociti, nelle manipolazioni, nell’evitare sbalzi di temperatura nella fase di transfer degli embrioni…
Va infine ricordato che la crioconservazione degli embrioni aggiungerebbe ulteriori fattori di rischio, in quanto nella fase di scongelamento circa il 30 per cento muore, mentre i rimanenti, destinati all’impianto, presentano, come è ovvio, perdita di vitalità e cellule danneggiate (fonti: G.M. Carbone, “La fecondazione extracorporea”, Esd; C. Flamigni, “La procreazione assistita”, Il Mulino; A. Serra, “L’uomo-embrione”, Cantagalli).
Francesco Agnoli
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