domenica, novembre 21, 2004

Ferrara/Cacciari

Estraggo, per mia meditazione, dagli interventi del pubblico incontro "Siamo tutti Olandesi" tenutosi il 16 Novembre a Milano.

Dixit Giuliano Ferrara

“Noi dobbiamo porci un problema semplice. Noi non possiamo ricostruire la cristianità per resistere alla sfida islamista, radicale, jihadista; sono tre aggettivi precisi, che uso per distinguerli da islamico. Islamista, radicale, jhadista. La grande lotta che dentro la civiltà islamica”

“La grande battaglia che si è aperta per dare sostanzialmente una nuova identità, che faccia fronte alla modernità che noi rappresentiamo nel mondo islamico, non possiamo fronteggiarla con la denunciata stessa logica identitaria, ricostruendo il programma di Lepanto.

Non possiamo, ma possiamo non fare niente? Possiamo non interrogarci? Possiamo accettare che il famoso politeismo dei valori che la nostra irrinunciabile devozione verso la democrazia, verso le regole della libertà e una relativa libertà dalle regole che ci siamo dati, arrivi fino al punto di scarnificare la nostra identità? Da renderla così evanescente, così leggera, così incapace anche di dialogo, anche di fronteggiare con un dialogo serrato, vero, significativo, in cui tu porti qualcosa della tua identità? Io penso di no.

Non voglio usare parole difficili, complicate ma certo non è roba per cardinali, per vescovi, non è roba solo ed esclusivamente per il magistero pastorale della Chiesa cattolica o delle molte altre Chiese dell’universo interreligioso.
Non è una questione confessionale.”
“Porsi questo problema del significato, del senso. Porsi questo problema eminentemente politico, ma carico di cultura, di un sistema di vita che noi presumiamo di dover difendere – poi i modi di difenderlo, con la guerra o senza la guerra, tutto sommato, dopo l’11 settembre, sono grandi questioni di tattica, questioni integralmente politiche. Ma sul fatto che si debba difenderlo c’è una sostanziale convergenza, in occidente.

Questo sistema di vita che cerchiamo di difendere dobbiamo reinterpretarlo, non nella nostalgia, che è sempre un sentimento regressivo, non nella chiusura del tradizionalismo, forse perfino con un grande sforzo di innovazione. Ma dobbiamo reinterpretarlo, perché se difendere il nostro sistema di vita significa difendere il vuoto, questo vuoto sarà riempito”

“Questo vuoto sarà riempito, e sarà riempito da un altro modo di vita, da un’altra concezione dell’esistenza, da un’altra concezione della trascendenza. Da una ortodossia e da un puritanesimo (il famoso puritanesimo Wahhabi) che sono una minaccia per tutti i valori in cui noi crediamo.”


Respondit filosofum Massimo Cacciari

“ Io ritengo che nella reinterpretazione della democrazia” “debba anche giocare un importante ruolo la reinterpretazione del nostro concetto di tolleranza.”

“Lo penso, l’ho scritto in saggi e in libri, perché il concetto di tolleranza, bisogna esserne consapevoli, si regge sul presupposto (non lo dicevo io, lo diceva Rosmini …) che quello di tolleranza è un concetto estremamente peloso. E’ chiaro che io tollero colui che reputo inferiore a me, perché se io reputo Ferrara uguale a me, come lo reputo, non lo “tollero”: lo ascolto, lo contraddico, mi interessa o non mi interessa quello che dice, ma non lo tollero. Il concetto di tolleranza implica un’inferiorità dell’interlocutore, e la mia pretesa di educarlo alla mia razionalità. Questo è sempre stato storicamente, così si è declinato il concetto,…. Io non credo che questo sia un modo utile o politicamente efficace di agire e di pensare la democrazia, e di agire nei confronti di coloro che al momento non sono affatto democratici.

“Il discorso (…), in apertura alle lezioni di filosofia sulla storia di Hegel, tale e quale.
“Ex occidente lux”: la civiltà nasce ad oriente ma inevitabilmente qui trova la sua casa. Gli altri sono spacciati, e Hegel usa esattamente questa espressione, si tratta di rovine del passato, proprio perché loro non hanno la storia, cioè non hanno elaborato il concetto di storia. Non vi è storia nell’islam: questa è la posizione di Hegel che torna, non a caso, anche in tanti teorici americani, in termini più o meno banali, ma non sempre, anche molto ferrati. Torna questa idea che la diversità essenziale che costituisce la nostra originalità e la nostra superiorità, alla fine, è che noi abbiamo elaborato un concetto di storia, che noi concepiamo tutto, diceva Nietzsche, storicamente.”

“La concezione del divino, di Dio, nel cristianesimo, “ab origine” è assolutamente distinta e assolutamente diversa da quella islamica. Qui è la diversità, cioè la storia di cui noi parliamo, è immanente nel modo in cui la cristianità concepisce, già in epoca evangelica, il divino.
Questa è davvero una differenza teo-logica, dove il termine “logico” va sottolineato. Perché il modo in cui si concepisce il divino, cioè il Deus trinitas, come diceva Agostino, ha in sé la dimensione storica.

Un cristianesimo che non si incarna storicamente e che quindi non assume tutte le contraddizioni e i conflitti, che non si distingua al suo interno, non è concepibile”
“Cioè la storia dell’islam non è una storia teologicamente concepibile. Non è una storia che possa essere in alcun modo riportata a un principio: è contingenza, pura contingenza. Così il musulmano si rapporta alla storia, come a una serie di eventi che, in quanto storici, sono assolutamente contingenti.

Noi invece in ogni evento storico cerchiamo la ragione, il senso, la fenomenologia dello spirito di Hegel appunto, il fenomeno. Ciò che ci appare non è mai contingente, non è mai apparenza, ha una ragione di essere. I fenomeni li dobbiamo sempre salvare da questo punto di vista, nella loro storicità, non in termini ideali, come Platone.

Questa, ripeto, è la differenza fondamentale. L’ho detto e ripetuto, prima e dopo l’11 settembre, dobbiamo saperlo, di fronte ad ogni “abbracciamoci tutti” general generico, che non ha alcun senso se si ragiona seriamente di queste cose, e cioè che la posizione da cui deriva tutta la nostra concezione della storia, cioè del Deus trinitas, è di vedere la storia in Dio. Bisogna comprendere fino in fondo la paradossalità e la scandalosità di questa assunzione: tanta teologia l’ha edulcorata, continua ad edulcorarla”

“La storia in Dio, la morte in Dio: questo per tutto l’islam è bestemmia. E’ bestemmia e qua non troverete nessun membro dell’islam, nessun musulmano che possa pensarla diversamente.”

“Le cose vanno viste alla radice, non sulla schiuma delle onde. Questa è la questione. E se poniamo la questione a questo livello, comprendiamo quanto sia arduo impostare insieme nel nostro rapporto tra cristianità come civiltà che ha nel suo insieme immanente a sé questa categoria, per dirla i termini russi, della umano-divinità, (intesa non nel senso di una facile conciliazione dialettica, ma nel senso proprio del rapporto drammatico tra figura divina e figura storica), e dall’altro la dogmatica islamica di una incomparabilità assoluta tra l’elemento storico condannato alla contingenza e la teologia, e il discorso su Dio comunque esso venga concepito.

Voi capite bene, tra l’altro, come questa concezione sia davvero la responsabile di tutto il discorso tecnico-scientifico. Su quale presupposto si basa il grande exploit della nostra scienza? Ma esattamente su questo.”

“Quindi questa è la grande diversità, ma se ci poniamo da questo punto di vista. Ma se ci poniamo da un punto di vista diverso, più episodico, più superficiale, forse è facile (si fa per dire) trovare anche tatticamente, politicamente, nel senso più banale del termine, vie di comprensione e di riconoscimento.

Se andiamo alla radice della distanza allora il discorso si fa infinitamente più complicato, e così anche l’appello a una evoluzione dell’islam per la quale tutti noi possiamo operare politicamente.
E’ abbastanza semplice comprendere come, attraverso quali vie di azione politica e diplomatica, si potrebbe tentare di vitalizzare e potenziare le componenti che esistevano e che sono state più o meno massacrate dai regimi dittatoriali, autoritari, quasi sempre sostenuti dai regimi occidentali.

Si può porre la questione di come promuovere, potenziare, sostenere tutte quelle voci del mondo islamico che sono contro il fondamentalismo della jihad. Questa impostazione, alla quale politicamente siamo costretti tutti, uomini di buona volontà o meno, a cercare di pensare, e che può dare certamente dei frutti, non tocca questa questione di fondo.

Questa questione di fondo è una questione davvero e radicalmente filosofica, perché qui si pone il problema di una vera relazione con l’altro. E’ possibile una relazione con l’altro non fatto a nostra immagine e somiglianza?

La relazione è possibile anche laddove io colgo nella figura dell’altro qualcosa che mi appare davvero irriducibile a me?

Questo è il grande, serio tema che ci è oggi imposto, e che possiamo non essere in grado di risolvere.
Perché nella storia può essere che una relazione con l’altro non sia risolvibile se non in termini polemici.”

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