Ovvero: Mariarosa Mancuso recensisce sul Foglio di sabato 10 marzo 2007 il film "IN MEMORIA DI ME" scritto e diretto da Saverio Costanzo.
Saverio Costanzo dichiara nelle interviste – genere letterario da non prendere alla lettera, ma quando la stessa frase si rincorre virgolettata su vari quotidiani, e nessuno la smentisce, finisce per fissarsi in testa – che “la giovinezza nel suo caso ha saltato un giro”. Accantonate le ciance quotidiane che occupano i trentenni, preferisce meditare sulle Grandi Questioni: il conflitto tra arabi e israeliani in “Private” (suo primo e premiatissimo film, a dispetto del finale aperto e di qualche incongruenza); la spiritualità nell’opera seconda, unico titolo italiano in concorso alla Berlinale.
Progetto lodevole, non fosse che il cinema risulta poco adatto alla meditazione. “In memoria di me” si risolve in un’alternanza di inquadrature quasi fisse – chiostri e interni del convento sull’isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia – e di dibattiti teologici tra il padre superiore e il novizio Andrea, che si è lasciato il mondo alle spalle per un periodo di prova. Sembra di capire, senza il sostegno di una vocazione.
Sta cercando qualcosa, anche se non sa esattamente cosa: purtroppo la sceneggiatura non è abbastanza solida per far sì che lo spettatore partecipi al suo cammino e ai suoi turbamenti.
Per esempio, avremmo la curiosità di sapere se lo attira la fede, o soltanto il rigore di un’esistenza organizzata. Se lo affascina la solitudine, oppure la vita segreta dei compagni che vivono nella cella accanto. Se è interessato ai dibattiti teologici – basta credere fermamente, o bisogna anche amare? – oppure alle regole che impongono di denunciare le deviazioni di cui viene a conoscenza.
Il volto impassibile, e l’accento lievemente esotico, dell’attore bulgaro Christo Jivkov non sciolgono i dubbi. Risultato: “In memoria di me” funziona come uno specchio. Lo spettatore finisce per ricavarne esattamente quel che proietta sulle immagini (altra cosa che c’entra poco con il cinema, o almeno con il cinema che amiamo).
Ecco perché i critici italiani hanno lodato, e i critici tedeschi hanno stroncato: dove il ricatto intellettuale funziona, uno si vergogna a far sapere in giro quanto si è annoiato. Al massimo apre il dibattito sul bacio tra maschi: sarà a sfondo gay come nel romanzo di Furio Monicelli?
No, risponde il regista, è un bacio dostoevskiano.
A questo punto, gli irriducibili ancora decisi a sostenere che il re è nudo, tacciono per non far la figura degli idioti ignari dei “Fratelli Karamazov”.
Nessun commento:
Posta un commento