lunedì, maggio 25, 2009

Breve ai Principi, VI

Sive: Regimini militantis Ecclesiae

"Il consenso, francamente non cercato, che una serie di iniziative caritative adottate nell’ultimo periodo avrebbe procurato alla Chiesa, ha indotto taluno a chiedersi se non sia opportuno concentrarci sul terreno della carità, dove s’incontrano facili consensi, piuttosto che in quello assai più contrastato della bioetica. Ancora una volta veniva con ciò posto l’antico dilemma tra lo smalto dell’amore tradotto in opere e l’opacità che deriverebbe dall’affermazione di certi principi dottrinali.

All’obiezione, riproposta oggi in termini cortesi, piacerebbe rispondere rilevando come il punto germinale di entrambe queste tensioni ecclesiali – quella della carità e quella della verità sull’uomo – sia in realtà lo stesso, ossia l’esempio di Gesù, anzi la sua stessa persona, il suo essere buon samaritano della storia e per ciò stesso rivelatore della cifra inconfondibile di ogni esistenza umana. A ben guardare, la vicenda dell’umanità rivela come la persistenza di un amore effettivamente altruista sia in realtà condizionata dall’annuncio della misura intera dell’umano. Fraintendimenti e deviazioni restano incombenti, se non si è costantemente richiamati al valore incomparabile della dignità umana, che è minacciata dalla miseria e dalla povertà almeno quanto è minacciata dal disconoscimento del valore di ogni istante e di ogni condizione della vita.
Avere a cuore i temi della bioetica è un modo, non l’ultimo, per avere a cuore l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Non si può assolutizzare una situazione di povertà a discapito delle altre; ma non si può nemmeno distinguere tra vita degna e vita non degna.
Non c’è contraddizione tra mettersi il grembiule per servire le situazioni più esposte alla povertà e rivolgere ai Responsabili della democrazia un rispettoso invito affinché in materia di fine vita non si autorizzi la privazione dell’acqua e del nutrimento vitale a chi è in stato vegetativo.
È una questione di coerenza.
Rispetto alle diverse stazioni della «via crucis» che l’uomo di oggi affronta, la Chiesa non fa selezioni. La sua iniziativa però non ha mai come scopo una qualche egemonia, non usa l’ideale della fede in vista di un potere. Le interessa piuttosto ampliare i punti di incontro perché la razionalità sottesa al disegno divino sulla vita umana sia universalmente riconosciuta nel vissuto concreto di ogni esistenza e per una società veramente umana."
[...]
"Se accettassimo l’accennata idea di un cattolicesimo inteso come religione civile, o come «agenzia umanitaria», e se completassimo tale visione con l’idea di una fede nuda, scevra da qualunque implicazione antropologica, allora davvero priveremmo la comunità umana di un apporto fondamentale e originale in ordine alla edificazione della stessa città dell’uomo. Saremmo più poveri noi e sarebbe più povera la società. Ma soprattutto tradiremmo la consegna del Signore Gesù che è passato per le strade della Palestina «beneficando e sanando» i bisognosi (cfr At 10,38), come dicendo anche: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).
Per niente di meno la Chiesa è nel mondo, ossia per evangelizzare, il che è «non un aspetto soltanto ma tutta la missione della Chiesa» stessa, il «migliore e più importante servizio che […] può rendere al mondo» (CEI, L’evangelizzazione del mondo contemporaneo, 28 febbraio 1974, nn. 28 e 54). Il destino della Chiesa è di «portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro […]» fino a «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 8 dicembre 1975, nn. 18-19).

Nella tendenza a ridurre il compito ecclesiale, e considerare le funzioni sociali come più rilevanti di quelle religiose, è difficile non vedere in azione una sorta di secolarismo edulcorato, ma non per questo forse meno subdolo, che – foss’anche senza volerlo – da una parte lusinga i cattolici e dall’altra li emargina. Alla base di una certa concezione della laicità, annotava tempo addietro Benedetto XVI, «c’è una visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale», che sostenendo «in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana» (Discorso al Congresso dei Giuristi cattolici italiani, 9 dicembre 2006). È un fenomeno che non lascia del tutto immuni le comunità cristiane. Fa leva infatti su un certo spiritualismo unilaterale, che può cedere facilmente il passo ad un’atrofia ecclesiale e a un vuoto del cuore.

C’è la preoccupazione che, alla base di simili posizioni un po’ disincarnate, s’annidi una cultura neo-illuministica per la quale Dio in realtà c’entra poco – forse nulla – con la vita pubblica: lo si lascia al massimo sopravvivere nella dimensione privata ed intima delle persone. Ma il vangelo annuncia che Gesù è Dio fatto uomo, è pertinente alla storia e interessato al mondo."
Dominus Angelus S.R.E. Cardinalis Bagnasco
(Prolusione dei lavori della LIX assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana; Roma Lunedì 25 Maggio 2009)

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