mercoledì, maggio 27, 2009

Sive ergo Græci… V

Ovvero: glosse post-conciliari di Monsignor Neophytos Edelby (1920-1995) vescovo cattolico arabo di rito bizantino:


"...Io sono melkita.
Per coloro che lo ignorano, questo termine designa un fedele, sia ortodosso sia cattolico - giacchè ne esistono due rami- della grande Chiesa bizantina nei paesi arabi, dove essa è rappresentata dai tre patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Essa è dunque un ramo della Chiesa bizantina nei paesi arabi.
Inutile aggiungere che sono inoltre cattolico, ma è forse bene ricordarlo, dal momento che talvolta la nostra fede è stata guardata con sospetto. Questo naturalmente ci reca una grande sofferenza [...]
Evitando dunque la terminologia tecnica, dirò semplicemente che sono un orientale, convinto della necessità dell'unione con la Santa sede romana. Come tutti i cattolici, auspico che questa unione avvenga alla luce del Vangelo e che nella Chiesa cattolica tutto venga ben disposto e ben riformato alla luce del Vangelo e della tradizione patristica. Vi è molto da fare ma, per quanto riguarda l'essenziale, dobbiamo ammettere che non è possibile discostarci dal centro dell'unità quali che siano i difetti degli uomini, gli abusi, gli errori passati, presenti e futuri. Cristo ha voluto per la sua Chiesa un centro di unità; questo centro è la Sede romana.
[...]

Diaconi ammogliati

Noi siamo rimasti non già offesi - perché sono dei fratelli che parlano e ben sappiamo quanto ci amano- ma piuttosto stupiti da tutti gli attacchi mossi contro un eventuale accesso al diaconato di uomini sposati. Voglio fare l'ingenuo: credo che non si sarebbe neppure dovuto parlare, al Concilio. Questo problema esiste già in seno alla Chiesa cattolica, e cioè da noi! E noi apparteniamo alla Chiesa cattolica!
Forse non è il caso di porre la questione: può la Chiesa cattolica restaurare il diaconato? Esso è restaurato. Se, in una delle Chiese particolari, esso non lo è, libera essa di farlo.
Si da il caso che questa Chiesa particolare, sia di fatto grandissima e conti dei milioni di fedeli, ma è pur sempre una Chiesa particolare, tanto particolare quanto la Chiesa melkita, per esempio, che ha la pretesa di rappresentare una Chiesa nella Chiesa cattolica.
Dunque nella Chiesa cattolica il diaconato permanente esisteva già. In un ramo della Chiesa cattolica, cioè nella Chiesa latina, si esitava a restaurare il diaconato permanente. È tutto.

Celibato e Sacerdozio

In seguito ci si è voluti glorificare molto per la legge del celibato nella Chiesa latina e non si sono dimenticate le forme; è vero che si è detto che non si voleva offendere in nulla i nostri fratelli orientali ma per il fatto che vi glorificate per una cosa che a buon diritto io non ho mi offendete, oppure mi considerate come chi ha un clero di seconda serie, un clero cui bisogna fare concessioni particolari in quanto esso annovera degli uomini semplici, non sufficentemente evoluti. Non credo sia il caso di arrivare fino a qui.
Qual è l'atteggiamento di noi orientali?
Noi crediamo che la vocazione al diaconato - per non parlare della vocazione al sacerdozio, ma il ragionamento è identico - sia distinta dalla vocazione al celibato. Qualcuno può essere chiamato a offrire a Dio la propria castità, la propria verginità, vocazione speciale al diaconato, e viceversa.
Dunque se qualcuno sente l'appello di Dio e del proprio vescovo a servire la Chiesa come diacono, senza sentire nello stesso tempo l'appello al celibato, egli deve poter avere accesso agli ordini.
Si è detto: «Ma questo diminuirà le vocazioni, sarà come un invito ad aprire l'accesso al sacerdozio per gli uomini sposati, ecc». Non lo credo. E ritengo di potervi dare un esempio vivente.
Da noi, tutti possono essere sposati e accedere non solamente al diaconato ma anche al sacerdozio. E noi apparteniamo alla Chiesa cattolica!
Tuttavia l'80 per cento dei candidati al sacerdozio preferisce rimanere celibe, per motivi personali; grazia di Dio, appello intimo, desiderio di offrire a Dio ciò che vi è di più caro nella vita di un uomo. Non è perché ci sono dei sacerdoti sposati che non vi sono dei sacerdoti celibi. Al contrario, abbiano constatato che il numero dei sacerdoti celibi è in aumento. E questo è un esempio vivente.
Permettetemi ora di prendere un esempio tratto da voi: voi avete degli ordini religiosi e avete il clero secolare. Se non vado errato, nel clero secolare vi è un po' più di libertà; si può disporre un poco del proprio denaro, si può uscire senza dover continuamente dover chiedere dei permessi, ecc. Questa libertà, impedisce forse ai giovani di entrare negli ordini religiosi? Migliaia di giovani che debbono scegliere una vocazione e vedono benissimo che nel clero secolare possono godere di maggiore libertà, mentre negli ordini religiosi ne avrebbero meno, preferiscono non di meno la vita religiosa, dunque una minore libertà. È un appello di Dio.
Anche in America, dove la vita clericale gode di certe comodità, di una certa facilità, abbiamo constatato che le vocazioni di trappisti non facevano che aumentare. Come vi spiegate ciò?
Non è in quanto vi è data facilità che i cristiani rinunciano alle difficoltà. Credo anche che Dio faccia sentire più intensamente il suo appello a delle anime generose, le quali offriranno il loro denaro, l'amore umano, la loro libertà, tuttavia non dobbiamo temere, rispettando delle posizioni stabili e delle istituzioni che hanno fatto la loro prova in seno alla Chiesa, di veder diminuire nel clero la generosità. Non di meno il Concilio può avere motivi concreti per non ammettere il matrimonio dei sacerdoti.
Per amore di verità e per rispetto verso gli altri dirò: il matrimonio dei preti è sempre stato in vigore nella Chiesa cattolica.
A questa regola generale fa eccezione la Chiesa latina, e ciò per delle ragioni che le sono proprie. ma non capovolgiamo i dati.
Siamo noi ad avere la situazione normale ed è l'altra parte a essere eccezione.

Ritorno alle origini

Ho preso la parola durante la prima sessione [del Cocilio Vaticano II, ndr] , allorché si è trattato della comunione sotto le due specie, o della concelebrazione. Ho preso la parola per dire all'incirca questo: «Monsignori, comunicare sotto le due specie costituisce la cosa normale: è in questo modo che Cristo ha fatto. Non si può dire che ciò che ha fatto Cristo sia un'eccezione!».
Ciò che Cristo ha fatto è la cosa normale. Ora, se avete dei motivi per non comunicare sotto le due specie, siamo pronti a comprenderli, però non dite che noi seguiamo l'eccezione, e che voi seguite la regola.
Credo che nella Chiesa cattolica noi siamo stati presi in un turbine tale, in una tale evoluzione della scolastica e del diritto canonico, che abbiamo perduto di vista le istituzioni originali e autentiche della cristianità. Non ho alcuna obiezione a che venga interdetta la comunione sotto le due specie, quali che siano le ragioni addotte dai padri conciliari, valide o meno. Dal momento che Cristo si trova sotto le due specie, non vi è qui alcuna difficoltà: la Chiesa orientale stessa qualche volta somministra la comunione sotto una sola specie, a esempio quando si reca il Santo Sacramento ai malati oppure nelle carceri, come lo si faceva soprattutto nei primi secoli.
Anche oggi, quando somministriamo la Santa Eucarestia ai bambini neobattezzati, mettiamo loro una goccia di sangue [sic!] nella bocca, dato che essi non potrebbero inghiottire il pane. Somministriamo dunque loro la comunione per mezzo del solo Preziosissimo Sangue. Ma non capovolgiamo le cose, non facciamo della pratica occidentale una cosa normale."

[AA.VV. "La fine della Chiesa come società perfetta"; Arnoldo Mondadori Editore, 1968]

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