lunedì, maggio 11, 2009

Per la visita di Benedetto XVI allo "Yad Vashem"

SIVE: CASTRUM DOLORIS

LEA, RACHELE, MARIA

"La donna preferita dal patriarca Giacobbe non è Lea, la sorella maggiore, e Giacobbe domanda a Labano in moglie non Lea, ma Rachele. E in grazia di Rachele, Giacobbe sposa prima Lea. E' il trauma di un'anima femminile: Lea entra nella vita coniugale sotto l'auspicio di preferenza per la sorella più giovane e più avvenente.
Il Signore si mostra sempre nella vita dei patriarchi protettore di donne umiliate e di bambini sofferenti e che corrono il pericolo di morire. Egli, il Signore, Dio giusto, rende sterile Rachele, mentre Lea dà alla luce un bambino. Come tante altre donne delle narrazioni bibliche, anche Lea ha il cuore desto, è piena di comprensione: ella sente e valuta la voce di Dio, sente e venera la mano di Dio che si manifestata nelle sorti di chi soffre. Lea accoglie il bambino come dono di Dio, come dono di consolazione da parte di Dio, e all'atto della nascita dice: "Il Signore ha visto la mia afflizione".

Lea spera che ora il marito l'avrebbe amata. La non amata spera di essere amata; è il motivo che poi tornerà nella predicazione dei profeti, ove non si parlerà più di una donna vera e propria, ma di una donna che assurge a simbolo: la nazione d'Israele.
Anche all'altro figlio, al secondogenito Simeone, la madre conferisce il nome con l'intenzione di esprimere: "Il Signore ha saputo che io ero odiata, e così mi diede anche questo figlio". Il terzo bambino si chiamerà Levi. Egli sarà il capostipite dei leviti del Signore nel culto dell'Antico Patto. La madre interpreta il nome del figlio come derivante dal verbo "accompagnare": ora mio marito si accompagnerà me, perché ormai gli ha dato tre figli.
Al quarto ed ultimo bambino, Lea, come guidata dal presentimento profetico, conferisce il nome di Giuda, dicendo: "Questa volta io ringrazio il Signore".
Questo nome che era destinato ad essere glorioso nella storia di Israele e doloroso nella storia del cristianesimo, nelle intenzioni pure e sante della madre esprime qualche cosa, che potrebbe essere definito, e sia pure da lontano, di eucaristico; è un ringraziamento che ella porge al Signore in un momento in cui il suo cuore è profondamente commosso, in cui sente il vivo desiderio di esprimere dinnanzi alla maestà del Signore tutta la sua infinita riconoscenza.


Il Signore ricorda, fa tornare al suo cuore paterno, anche Rachele, gelosa della ricca prole di Lea, e concede anche a lei il dono della maternità. Rachele è grata a Dio, al Dio che ha tolto ('asàph) la mia umiliazione, la mia vergogna; il nome però che dà al figlio, Joseph (Giuseppe), vien fatto derivare dal verbo jasàph, cioè accrescere, aumentare.
Rachele dà vita ad un altro bambino. Ella gli dà la sua vita e muore all'atto della nascita del figlio, che ella vorrebbe chiamare "figlio del mio dolore" e che il padre preferisce chiamare Beniamino: "figlio della mia destra".
Il cambiamento del nome da parte del padre non ha cancellato il dolore provato ed il pensiero espresso dalla madre al momento di morire.

Passeranno molti anni, secoli interi, e il vate del dolore di Israele, Geremia, il profeta che può essere considerato l'incarnazione delle tragiche sorti di Israele, dirà come in una visione ai suoi fratelli ed uditori dolenti: "Odi, a Rama si sente l'eco di un pianto amaro: è Rachele che piange per i suoi figli, perché non sono più" (31,15). Una sorte crudele li ha decimati, ha inflitto loro tante ferite e tante sofferenze, e i superstiti furono trascinati in terre lontane, in terre nemiche, nell'esilio.
Qui, in patria, nel cuore della notte, si sente una voce misteriosa, un lamento: è la madre che si eleva sul dolore del popolo suo, è Rachele che invoca e ottiene dal Signore per la prima volta la promessa che gli esiliati un giorno sarebbero tornati.
Rachele è madre dolorosa.


Il figlio, che nascendo fece morire, involontariamente, la madre, vive nella storia d'Israele come capo-stipite della tribù di Beniamino; così ha voluto il terzo patriarca. Il dolore di Rachele continua a vivere, vive e rivive nella storia tormentata del popolo eletto.

Rachele è la prefigurazione di Maria, la madre dolorosa, la madre che darà alla luce il Figlio, che accrescerà il bene e la salvezza dell'umanità intera di tutti i tempi. Le madri bibliche, come abbiamo visto, danno un nome al neonato, muovendo da circostanze contingenti. Non così Maria, Madre del Figlio di Dio: Il Figlio suo è Figlio di Dio e il nome che gli viene conferito si riferisce alla missione, che Egli è chiamato a compiere, cioè liberare l'umanità dal peccato. In lui Iddio si rivela, non più come nell'Antico Testamento, salvatore di un popolo, ma dell'umanità intera, e Maria parteciperà alla Via Crucis, all'esistenza dolorosa di Gesù sulla terra; ella starà ai piedi della Croce e assisterà alle indicibili sofferenze del Figlio suo: Figlio di Dio.
Gesù resterà figlio del dolore di Maria all'ora della Passione; resterà il figlio suo per sempre, resterà nella storia e nella gloria del padre suo nei cieli, e dell'umanità dolente sulla terra, dell'umanità che in ogni prece e in ogni ora di dolore lo invoca.
A Lui e alla Madre sua, corredentrice nella liberazione dal male, sono rivolte tutte le preci e tutte le speranze dell'umanità di ogni tempo."


(Eugenio Israel Zolli; "Da Eva a Maria"; 1954)

2 commenti:

Armando ha detto...

Direi profetico quest' articolo considerando le parole del Papa...questo è il mio, invece.
Buonasera
Armando

Armando ha detto...

http://todikaion.splinder.com/post/20516609/Un+Papa+romano