sabato, marzo 03, 2007

Amicus Plato sed magis amica Santippe, IV

Ovvero: Articolo del Foglio di sabato 3 marzo 2007 in cui si mostra la supponente saccenteria laicista di Corrado Augias, "negli ultimi tempi" autonominatosi evangelista ufficiale di Nostro Signore Gesù Cristo.


"IL DIBATTITO ALLA LATERANENSE RACCONTATO DA CHI C’ERA"

"Giovedì [1 marzo,ndr]si leggeva sulla prima pagina di Repubblica un pezzo pieno di buon senso vergato da un battagliero Corrado Augias che denunciava: “Io, processato dalla chiesa per il mio libro su Gesù”.
Il corsivista di largo Fochetti raccontava di essere stato vittima di una dotta “reprimenda” che monsignor Romano Penna, noto studioso di esegesi evangelica, gli aveva rivolto mercoledì nel corso di una conferenza all’Università lateranense. Un processo da santa inquisizione, perché, polemizzando con lui, monsignor Penna avrebbe detto che “non si può parlare di Gesù senza la fede e non si può capire Gesù se si prescinde dalla fede”.
Per questo Augias, paladino della laicità, spiegava come Gesù si capisca molto meglio “prescindendo dalla fede”, difendeva il suo libro, ribadiva la sua tesi e rivendicava l’indipendenza della ricerca storica dalla fede e dalla religione.

Sacrosanto verrebbe da dire, se si eccettuasse il dettaglio insignificante che a quanto pare Penna non lo ha degnato di alcuna reprimenda. Anzi, pare proprio che il professore porporato [sic!] non abbia mai citato Augias e il suo libro, neanche per sbaglio. Pare dunque che Augias si sia inventato vittima di un processo e che, preso dalla foga eccessiva di difendersi da un’accusa fantasma, si sia pure immaginato che il professore Penna avesse polemizzato sull’eccessiva liberalità della ricerca storica che vorrebbe raccontare Cristo negando la fede.

Balle storiche. Eppure Augias alla conferenza era presente e non si può dunque neppure ipotizzare che forse qualcuno lo ha male informato. Infatti la sua presenza non è passata inosservata, come conferma Sergio Lanza, professore all’Università lateranense e organizzatore dell’incriminata “lectio” tenuta da Romano Penna. “Augias ha ascoltato due terzi dell’intervento, poi si è alzato e se ne è andato”.

Monsignor Lanza è più stupito che arrabbiato. Spiega che la conferenza era prevista da due anni e che si è trattato di un incontro sulla figura di Gesù per come è stata trasmessa dalle fonti evangeliche.
“Per questo si era pensato a Romano Penna, che è un esperto di esegesi neotestamentaria. Certo è evidente che la posizione di Penna diverge da quella di Augias, ma il saggio del giornalista non è stato valutato in alcun modo nel corso dell’incontro. Non se ne è proprio parlato, neanche per sottintesi, e neanche si è fatta polemica indiretta sulla libertà di ricerca storica. Figuriamoci. Anche noi siamo degli studiosi, degli accademici. Non è mica il medioevo. Non siamo dei Torquemada, la bellezza di questi argomenti, al contrario, sta proprio nell’affrontarli con limpidità e apertura di mente”.
Il professor Lanza ci aiuta anche a fare chiarezza e spiega che Augias – assodato che nessuno ce l’aveva con lui – ha probabilmente travisato le parole di Penna relative ai Vangeli e alla figura storica del Cristo.
Parole non da oscurantista inquisitore, ma da studioso, da filologo biblista. Infatti Penna non ha detto che non si deve studiare Gesù prescindendo dalla fede, ma ha semplicemente evidenziato che le uniche fonti storiche sulla vita di Gesù Cristo sono i Vangeli, che per loro natura sono delle peculiarissime biografie scritte da credentiper dei credenti. E che dunque lo studio della figura di Cristo non può prescindere dal cristianesimo proprio per la natura stessa delle fonti biografiche, che furono scritte allo scopo di diffondere la fede e non semplicemente di raccontare la vita di Gesù.Lapalissiano.

Tuttavia Augias è un bravo professionista, uno che ogni libro che scrive è un successo, e va perdonato.
D’altro canto cogliere un’occasione per vittimizzare un proprio libro sta un po’ nelle cose, fa parte del gioco. Perché un libro processato e censurato è un libro che si garantisce lunga vita. Gli esempi sono innumerevoli. Anche opere mediocri sono rimaste scolpite nell’immaginario collettivo perché, maledette, scomunicate e processate. E infatti essere processati in certi casi è una tale ambizione per lo scrittore da spingerlo fino a inventarsela, la censura, quando questa disgraziatamente non dovesse arrivare. Ciò è comprensibile e per questo Augias, che è pure bravo, va perdonato. Ma non si poteva non raccontare.
Amicus Plato sed magis amica veritas."

2 commenti:

Duque de Gandìa ha detto...

A proposito di tuttologi del cristianesimo:
Articolo di Luigi Geninazzi sull'Avvenire di martedì 6 marzo 2007

"La campagna anti-Wojtyla
Una denigrazione indegna"

Se avete un ricordo commovente o un aneddoto curioso riguardante Giovanni Paolo II, e se per caso osate raccontarlo o addirittura scriverlo, beh, state molto attenti. Potreste incorrere nel reato di «apologia del pontificato wojtyliano» e subire una delle pene letterarie più sconcertanti, vale a dire la recensione critica di Giancarlo Zizola, il vaticanista del Sole 24 ore noto per avere l'orologio fermo agli anni Sessanta.

Domenica [4 marzo 2007, ndr] si è seduto in cattedra e dall'alto della sua tribuna padronale ha bacchettato il cardinale Dziwisz per il recente libro di memorie su Karol Wojtyla, accusandolo di «rivendicare unilateralmente la mens autentica del Pontefice».

Insomma, don Stanislao vorrebbe imporre una sua verità «apodittica», che «non ha altre fonti che se stesso e quindi va presa con le molle». Una sua verità? L'ex segretario del Papa rivela particolari inediti restando nell'ombra e confermando la sua tipica discrezione nel parlare di colui che gli è stato padre e maestro. Ci vuole una massiccia dose di malizia per scorgervi un intento manipolatorio.

La colpa del cardinale Dziwisz sarebbe quella di non «aver fatto luce sugli aspetti incerti di un governo ecclesiale che in oltre un quarto di secolo ha solidificato paradigmi di governo papale eccelsi ma anche parziali di non facile riequilibrio».

Ma qui l'unica cosa incerta e di non facile riequilibrio è la prosa di Zizola, a conferma che quando uno non riesce ad esprimersi in modo chiaro è forse perché ha le idee confuse. Non è una novità, sono anni che in modo sempre più tortuoso Giancarlo Zizola critica «l'assolutismo regale di Wojtyla». È una sua libera e discutibile opinione. Ma pretendere che Dziwisz la pensi allo stesso modo non è un po' troppo?

Quel che più colpisce nelle parole del recensore della domenica è il tono sprezzante e offensivo. Per lui sono tutte «favole» quelle raccontate da don Stanislao. Un «mito» quello della perfetta intesa tra il cardinale Wojtyla ed il cardinale Wyszynski (erano così nemici che quando al Conclave dell'ottobre 1978 si stava profilando l'elezione a Pontefice dell'arcivescovo di Cracovia fu il primate di Varsavia a spingerlo ad accettare, con quella frase profetica: «devi introdurre la Chiesa nel Terzo millennio»). «Non accettabili le affermazioni sull'adesione del wojtylismo al Vaticano II», sentenzia in burocratese (wojtylismo? Questa sì che è una zizolata). Ma se perfino nel suo testamento Giovanni Paolo II si è sentito in dovere d'invitare le nuove generazioni a portare a compimento il Concilio!

E che dire dell'ipotesi avanzata dal cardinale Dziwisz secondo cui l'attentato al Papa è stato organizzato dal Kgb? Ci hanno lavorato giudici e storici, vi hanno scritto su decine di libri, ci sono sospetti fondati anche se non provati. Vi alluse lo stesso Pontefice che nel suo ultimo libro "Memoria e identità" parla esplicitamente di un mandante che ha armato la mano di Alì Agca, definendo l'attentato «una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza scatenatesi nel XX secolo». Ma per Zizola si tratta di «insinuazioni ideologiche abusate e perfino banali».
Ammettiamolo, questa volta la frase gli è venuta bene. Perché non è un'accusa, ma un involontario autoritratto.

Duque de Gandìa ha detto...

Venerdì 2 sul Giornale Massimo Introvigno recensisce quel cretino di Pigi Odifreddi: leggere per credere:)

"Il pamphlet del matematico Piergiorgio Odifreddi Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), pubblicato con grandi squilli di tromba da Longanesi, è un libro nato già vecchio e moribondo, un po’ come il governo Prodi rianimato dal Parlamento.

Sostiene che ogni religione è necessariamente nemica della scienza, della democrazia e del progresso economico. Il matematico ci assicura che «lo stesso termine cretino deriva da cristiano» e che il cristianesimo, «essendo una religione per letterali cretini non si adatta a quelli che, forse per loro sfortuna, sono stati condannati a non esserlo»: il che spiegherebbe anche la sua fortuna, perché «metà della popolazione mondiale ha un’intelligenza inferiore alla media». Ma ammette che questa critica risulterà poco convincente per molti - alcuni, chissà, potrebbero anche offendersi - e propone allora di scavare più a fondo per scoprire che il testo contrario alla ragione e al progresso è la Bibbia ebraica, che in più ha una carica di violenza che spiegherebbe anche perché l’attuale Israele (peraltro fondato da socialisti piuttosto laici) sia uno «Stato fascista» che perseguita i musulmani palestinesi. Certamente a Odifreddi non piace neanche l’islam, che è pur sempre una religione, ma i musulmani hanno diritto a una certa indulgenza in quanto «vittime delle Crociate» e oggi della «conquista dei loro pozzi di petrolio».

Vecchiumi, appunto, fatti a pezzi dalla storiografia e dalla sociologia storica più recenti. A Odifreddi non si può che consigliare, per limitarsi a un solo riferimento, la lettura delle opere del maggiore sociologo delle religioni vivente, Rodney Stark, che non è un cattolico e si dichiara «credente a modo suo», e non è neanche un cretino o almeno tale non è considerato dai suoi colleghi di tutto il mondo (in maggioranza non credenti) che lo hanno eletto ripetutamente alla presidenza sia della Società per lo studio scientifico della religione sia dell'Associazione di sociologia delle religioni.

Come Stark spiega nel magnifico best seller La vittoria della ragione (tradotto anche in italiano) il Dio della Bibbia ha questo di particolare: ha creato il mondo secondo ragione, il che implica che le leggi dell’universo possano essere scoperte e comprese dalla ragione umana.
La scoperta progressiva di leggi secondo cui funziona l’universo è quanto siamo abituati a chiamare scienza. La scienza non nasce in Cina o in India - dove manca la nozione di un Dio personale e ragionevole che ha messo ordine nel mondo - e neppure (benché molti si ostinino a pensare il contrario) nel mondo islamico, la cui idea di Dio è quella di un sovrano che può cambiare le leggi dell’universo come e quando crede. Grandi scoperte empiriche e sviluppi tecnologici in settori specifici non portano i musulmani alla formulazione di vere e proprie teorie scientifiche.

Il cristianesimo, invece, non si limita a inventare la scienza. Inventa anche la nozione di persona umana, dotata di libertà e responsabilità. Le leggi dell’universo non sono solo di natura scientifica: ve ne sono anche di natura morale. Nasce così l'idea di persona, dotata di diritti che implicano anche la libertà politica - declinata diversamente secondo i tempi e i luoghi - e la tutela della proprietà privata.

Scienza, libertà della persona e proprietà privata sono le tre basi del progresso e dell’economia moderna. Un mondo forgiato da credenti: cristiani come Newton o i banchieri fiorentini del tardo Medioevo, o ebrei come Einstein. Tutti cretini?"